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“Deumanizzazione”, Trump e il dilemma dei social

Eugenio Cau

Il compromesso tutto sbagliato di Twitter sulla libertà d’espressione

Milano. Da anni i grandi social network sguazzano tutti nello stesso problema: vorrebbero creare piattaforme con pochi insulti e senza troll, senza razzisti e senza agenti di potenze straniere che cercano di cambiare l’andamento delle elezioni, senza neonazi, senza jihadisti e senza pedofili che si scambiano link a immagini di minorenni. Ci sono pressioni per sanitarizzare le piattaforme, soprattutto da parte dei media e degli inserzionisti. Al tempo stesso, però, i grandi social network vorrebbero creare piattaforme in cui la libertà d’espressione è rispettata in maniera radicale, come da ethos siliconvalleyano, e in cui è ancora vivo lo spirito anarchico dei primi tempi di internet. Ci sono pressioni anche in questo senso, specie da alcune forze politiche che vedono la definizione di confini netti della libertà di parola come una prevaricazione.

 

Come è facile immaginare, queste due aspirazioni sono diametralmente opposte, e tutti quelli che hanno provato a riconciliarle hanno sbattuto la testa e si sono fatti male. Facebook ci ha provato con le fake news e con i deepfake (i video falsificati con l’intelligenza artificiale in modo da sembrare reali), Mark Zuckerberg ha difeso il principio per cui un contenuto falso non è necessariamente un contenuto da censurare, ma è stato bastonato un po’ da tutte le parti.

 

Questo problema è molto sentito anche su Twitter, dove l’infestazione dei troll resiste a tutti i tentativi di disinfestazione. I dirigenti dell’azienda, dopo molto lambiccarsi, credevano di aver trovato il principio perfetto, quello del dehumanizing, della deumanizzazione. Con fare evangelico, si pensava a Twitter, tutti i tweet che privano altri utenti della dignità umana dovrebbero essere passibili di cancellazione. Questa proposta fu avanzata per la prima volta in un meeting di alto livello lo scorso agosto, ha scritto sul New York Times Kate Conger, che ha il retroscena, e tra gli esempi di tweet deumanizzante ce n’era anche uno di Donald Trump: quello in cui il presidente americano definiva Haiti come uno “shithole”. Paragonare un intero paese a escrementi, in effetti, è abbastanza disumanizzante.

 

Ma quando Twitter ha provato a proporre la nuova politica ai suoi utenti ha ricevuto quasi esclusivamente critiche. I fan di Lady Gaga, che si autodefiniscono Little Monsters (un po’ come i sorcini), hanno cominciato a temere che Twitter avrebbe considerato questa definizione come deumanizzante. Uguale gli appassionati di videogiochi, che si sono chiesti come continuare a vantarsi per l’uccisione dei loro avversari virtuali. Le grane politiche, poi, sono infinite. Twitter è lo strumento di comunicazione prediletto da Donald Trump, e anche soltanto immaginare che la piattaforma possa censurare un tweet deumanizzante del presidente degli Stati Uniti (ne ha scritti una marea) creerebbe guai a non finire. Due giorni fa c’è stato gran scandalo quando un tribunale d’appello ha detto che Trump, unico al mondo, non può bloccare gli utenti che lo disturbano, e oggi Twitter è tra le piattaforme invitate alla Casa Bianca per un incontro sulla libertà d’espressione online.

 

Così la gran soluzione della deumanizzazione è stata abortita. L’unica riforma annunciata riguarda i gruppi religiosi: gli insulti alle comunità di fede sono passibili di censura, ma niente di più. Il compromesso perfetto è tutto da ripensare.

  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.