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Ma come si fa a fare i soldi con le startup? La risposta in una Borsa ad hoc

Michele Masneri

Il crollo di Uber e la nuova long term stock exchange per le aziende che devono crescere nel lungo periodo

Roma. In uno dei non infrequenti scatti di insofferenza che la contraddistinguono, la Silicon Valley si è stufata di Wall Street e vuole farsi la sua propria Borsa valori. La Us Securities and Exchange Commission, la Consob americana, ha dato infatti via libera negli ultimi giorni alla creazione di una Borsa speciale che si chiamerà Ltse, Long-Term Stock Exchange. Fin dal nome si capisce che la particolarità non sarà solo quella di aver sede, presumibilmente, a San Francisco o in qualche località della valle californiana. Cambia proprio l’approccio, perché questo nuovo istituto mira a creare un mercato di capitali dedicato

">alle startup che devono crescere nel lungo periodo, senza dover rispondere nel brevissimo termine agli investitori ma potendo invece concentrarsi sul lungo termine. Questa nuova Borsa insomma metterebbe insieme la botte piena e la moglie ubriaca: da una parte portando capitali alle aziende e remunerando i fondatori andando “public”, dall’altra però non costringendo le aziende medesime a far soldi da subito. Spesso infatti le imprese innovative siliconvalliche, anche le maggiori, impiegano anni se non decenni a diventare profittevoli (se mai lo diventano). E agli investitori questo non piace per niente.

  

 

Il tempismo è di certo casuale, ma interessante, perché l’approvazione del nuovo istituto arriva proprio dopo una settimana di passione dominata da uno dei collocamenti di Borsa più attesi della Silicon Valley, quello di Uber, che non è andato per niente bene. Il gruppo di trasporto passeggeri di San Francisco ha perso il 10 per cento il primo giorno di scambi al Nasdaq. Uber, fondata dieci anni fa, pur essendo un successo planetario non ha mai fatto un dollaro di utile e non lo farà prevedibilmente a breve. E il mercato la punisce. Come tante aziendone, anche “unicorni”, che nei primi anni di vita sono rimaste private, Uber ha contato sul venture capital, cioè su investitori di lungo periodo, ma a un certo punto si pone il problema della “exit” e dell’andata sul mercato. I rischi sono molti: prima di Uber, anche Lyft, concorrente che offre lo stesso servizio, è stata punita con una perdita di oltre il 30 per cento rispetto al prezzo di collocamento.

  

 

A Wall Street tutti sono incentivati a fare risultati trimestre dopo trimestre, ha detto Ries alla Reuters tempo fa. E questo fa male in particolare alle aziende più innovative: uno studio mostra che le aziende tecnologiche hanno un calo del 40 per cento dei brevetti dopo cinque anni in Borsa. Adesso contro questa denatalità arriva il nuovo stock exchange: che dovrebbe avere regole peculiari; minori bonus ai manager, e maggior trasparenza verso gli investitori, che saranno messi al corrente di tutti i progressi aziendali e avranno maggiori poteri di voto se terranno le azioni più a lungo.

 

Il movimento per una Borsa siliconvallica risale al 2011, da un’idea di Ries, appoggiato da una superstar tecnologica come Marc Andreesen, già cofondatore di Netscape, investitore in Facebook, primario capitalista di ventura col suo fondo Andreesen Horowitz. Oltre a lui un’altra celebrità californiana, Peter Thiel. Ries oltre che imprenditore è anche un’autorità in materia di management, essendo stato l’autore, dieci anni fa, del bestseller “The Lean startup”, che definiva un metodo innovativo di gestione aziendale. Ispirato al “lean manufacturing” applicato da Toyota negli anni Settanta per minimizzare gli sprechi di denaro, tempo e materiali, è stato applicato alle startup e ha fatto di Ries un profeta del settore (come dimostra anche questa nuova Borsa, che è una startup a sua volta, e ha già tirato su 19 milioni di dollari).

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