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Una Costituzione per la rete

Franco Debenedetti

Dai caratteri mobili ai bit. In Europa la tutela della democrazia online deve superare l’approccio vestfaliano

Gli scontri tra sovranisti ed europeisti, moltiplicatisi in vista delle elezioni europee, non si ridurranno granché dopo le elezioni, qualunque sarà il loro esito: i partiti sovranisti avranno difficoltà a collaborare tra di loro, la loro proposta economica continuerà a oscillare tra una improponibile uscita dall’euro e la tentazione di rovesciare il tavolo rinnegando il dogma che vieta la monetizzazione del debito. Più o meno acute, le contrapposizioni continueranno come prima: questo perché, secondo Martin Belov, il comparatista di leggi costituzionali, che sul tema ha curato una raccolta di saggi, esse sono radicate a un livello molto più profondo della contingenza e degli interessi politici: risultando infatti dalla contrapposizione di due sistemi costituzionali, quello globale e quello vestfaliano. Nel primo, ci stiamo vivendo. Il secondo ebbe origine dal trattato del 1648 che pose fine alle guerre di religione in Europa, e che, sancendo il principio della sovranità assoluta degli stati nei propri confini (“cuius regio eius religio”) consolidò la grande invenzione europea, lo stato-nazione.

 

Internet è un modello che può competere con il dominio dello stato territoriale, un campo che tocca i diritti umani

Per rappresentare le caratteristiche strutturali dei sistemi costituzionali, Belov usa la metafora della “geometria costituzionale”. Per il sistema vestfaliano, la gerarchia, come sistema ordinatore del codice logico della modernità, la piramide, come visualizzazione logica ed emotiva della struttura dell’ordine pubblico, il poligono come contenitore. Resse dalla monarchia assoluta fino alla seconda metà del secolo scorso, rispondendo all’esigenza di governare lo stato territoriale e le società di massa. L’industrializzazione, l’urbanizzazione e, con l’emergere della borghesia, la costituzionalizzazione, si basano sulla gerarchia come principio ordinativo della statualità vestfaliana. Con lo sviluppo della legge internazionale e il pluralismo costituzionale, saranno la rete e il cerchio ad avere capacità esplicativa e normativa: la rete come l’opposto della gerarchia ordinatrice dello stato territoriale; i cerchi come forma esemplare, ad esempio, dell’Europa à plusieures vitesses: unione, Eurozona, spazio di Schengen, Nato. Il pluralismo costituzionale trapianta gli schemi ordinativi della geometria vestfaliana in un contesto post-nazionale e post-territoriale. Restano le ideologie fondamentali: lo stato come territorio, la democrazia rappresentativa, il parlamentarismo, un demos integrato e politicamente attivo, la struttura gerarchica delle fonti del diritto e quella a più livelli delle istituzioni. Ma il modo meccanico e artificiale in cui questi principi si sovrappongono nella Unione europea, porta a deficit democratico e a inefficienza. La geometria costituzionale che ne risulta è, per Belov, quella di un quadro di Kandinsky, né visualmente convincente né adatto a fornire una soluzione ai problemi legali e politici. Passano cento anni tra le prime “Bibbie a 42 linee” e il trattato di Vestfalia; ne son passati meno di trenta dal primo uso privato di internet, il cui potere rivoluzionario viene paragonato a quello della stampa a caratteri mobili. Internet minaccia la visione vestfaliana della democrazia territoriale, la sua sola forma conosciuta; deterritorializza i poteri pubblici, costruisce un nuovo potere. Le reti e i cerchi deliberativi che crea sono indipendenti dal territorio; essendo simultanei, sono anche indipendenti dal tempo. Internet fornisce un modello di potere che può competere con il dominio dello stato territoriale; tocca diritti umani e quindi pone il problema di garantirli costituzionalmente; modifica il funzionamento di istituzioni dello stato. E’ il primo esempio di costituzionalismo globale a-territoriale, fa emergere, per la prima volta nella storia dell’umanità, forme di comunicazione politica strutturate in reti policentriche non gerarchiche. Cambia il contesto informativo del fare politica: social media, Facebook, Twitter, Google+ sono anche strumenti della politica, nel senso verticale di comunicazione dai politici ai cittadini, e in quello orizzontale tra cittadini. L’emergere di circoli di esperti , di cittadini, di attivisti, staccati dal territorio, organizzati per settori e collegati in rete potrebbero essere l’equivalente funzionale del demos sovranazionale europeo. Una nazione europea è impossibile: ma comunità di attivisti in settori specifici, connesse in rete, che controllino poteri pubblici e soggetti privati con funzioni pubbliche potrebbero supplire al deficit democratico del costituzionalismo sovranazionale.

 

E’ invece proprio nei riguardi di Internet e del mercato dei dati che il pluralismo costituzionale di Bruxelles rivela a propria inadeguatezza. La struttura e la cultura dell’Europa potrebbero essere quelle su cui costruire un sistema, che persegua i beni pubblici, benessere dei consumatori, innovazione, protezione dei diritti fondamentali degli individui. La coesistenza di sistemi giuridici diversi, in cui Eigentum ha un significato diverso da ownership e questo da proprieté pone vincoli stringenti a progetti che siano, come si deve, fondati sulla certezza del diritto. Sul tema Vincenzo Zeno Zencovich, ha scritto un paper di grande interesse: qui rapidamente si accenna ad alcune delle osservazioni più nuove e precise.

 

L’autore suggerisce un approccio regolatorio che tenga conto sia degli interessi di tutti gli stakeholder sia della tradizionale legislazione della protezione dei consumatori. Invece a Bruxelles prevale, verso la rivoluzione che viene da oltre atlantico, un atteggiamento tra il diffidente e l’invidioso. Recepisce acriticamente stereotipi del luogo d’origine, e ad essi sovrappone la legislazione europea sui diritti di proprietà e la protezione dei dati personali; senza dimenticare l’obbiettivo di ricavare entrate finanziarie da servizi altrove prodotti. Ma mentre per gli americani la libertà (tutte le libertà) sono una  opportunity  (soprattutto economica); per gli europei sono un  risk  che va ridotto al massimo in base al coerente principio di precauzione.

 

Il primo stereotipo importato è quello dei dati come new oil. Ma Big Data sono entità immateriali, non scarse e non rivali. L’informazione, cioè i dati strutturati, sono sempre esistiti: quello che cambia è la dimensione, il ruolo, l’uso e il valore. Ogni cosa può essere “datificata”: mentre l’Antitrust si occupa di risorse scarse, quando invece tutto può essere digitalizzato, sovente a prezzi insignificanti.

 

La società digitale richiede un costituzionalismo globale. Trattarla per stati o aree implica rischi di sovranismi protezionistici

Il secondo stereotipo è quello del “if it’s free, you are the product”: se ti offrono servizi gratuiti è perché si appropriano di ciò che ha valore, i tuoi dati. Il concetto di proprietà applicato a qualcosa di personale, manda in soffitta secoli di dottrina: “Dominus membrorum suorum nemo videtur”; più che di proprietà si dovrebbe parlare di diritto all’uso, più che della vendita il paradigma dovrebbe essere quello della licenza d’uso. Per questo Zeno Zencovich conclude che un generico “mercato dei dati” non esiste, ma che ci sono molti diversi servizi che hanno bisogno di dati per funzionare. Lo schema in cui l’impresa offre un servizio senza pagamento in danaro ma ricevendo in cambio i dati dell’utente è uno sviluppo del modello della Tv commerciale: anche questo è un mercato a due versanti, con la differenza che mentre lo spettatore può sempre cambiare canale quando c’è pubblicità, chi è su internet deve restare collegato se vuole ricevere il servizio. Così egli acutamente osserva che la transazione può essere vista in due sensi, i dati dell’utente come contropartita dei servizi, oppure i servizi come contropartita dei dati. Infatti il cliente può scegliere la piattaforma che gli fornisce i servizi che più gli si confanno, e poiché i dati non si consumano, non sono rivali e sono continuamente prodotti, non c’è limite a quanto l’utente può “spendere”.

 

L’Europa si è già dotata di un ricco sistema regolatorio: se vuole evitare che il mercato finisca inghiottito dalle regole, deve considerare le complesse interazioni tra quelle esistenti, copyright, informazioni pubbliche, regolamentazioni di settore, telecomunicazioni e finanziarie. La regolamentazione della proprietà intellettuale, risulta protettiva per le industrie, mentre il General data protection regulation (Gdpr) stabilisce che un’azienda non possa raccogliere dati personali (cioè qualunque cosa sia anche lontanamente collegata a una persona) senza il consenso della persona in questione. Il consenso essendo un contratto, questo deve sottostare anche alle regole per la protezione del consumatore. Il Gdpr è quindi una tipica barriera regolatoria.

 

Anche nei riguardi dell’uso della rete per la (apparente) dis-intermediazione politica, dirompente rispetto alla tradizionale organizzazione politica e del consenso politico gerarchica e territoriale, la risposta UE è quella di sottoporre l’attività di comunicazione politica in rete ad una serie di controlli (cominciando dalle linee-guida sulla “disinformazione”) per arrivare da ultimo al Regolamento  2019/493. Misure impensabili nei confronti della stampa e solo moderatamente introdotte nei confronti della Tv con la “par condicio”.  Anche qui scontro tra due visioni: quella americana (“Internet as the most powerful tool of democratic expression”) e quella europea (regolamentare tutto)

 

La società digitale per sua natura richiede un costituzionalismo globale. Trattarla nell’ambito del pluralismo costituzionale comporta il rischio di cadere nel sovranismo europeo, incorrendo, su scala diversa, nello stesso tipo di errori che gli europeisti rimproverano al sovranismo nazionale.

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