Mark Zuckerberg (foto LaPresse)

Minority report

Non sarà grazie al legalismo che Zuckerberg sconfiggerà i mostri che lui stesso ha creato

Giovanni Maddalena

Il fondatore di Facebook chiede nuove leggi per fermare violenza e fake news sui social, ma non si pone le domande giuste

L’ennesimo intervento etico sociale di Mark Zuckerberg è del 30 marzo scorso, sul Washington Post e poi sul suo amato Facebook. Come sempre troppo lungo nelle sue considerazioni, il fondatore del social network più famoso cerca ancora una volta di combattere, novello apprendista stregone, contro le forze che ha scatenato. L’editoriale è una nuova riflessione su che cosa può impedire a Facebook di diventare pericoloso. Stavolta, con un po’ più di precisione rispetto al solito, Zuckerberg si concentra su quattro aree: linguaggio violento, messaggi elettorali distorti, protezione dei dati personali, trasferimento e mobilità dei dati personali. Di quest’ultima sentiremo parlare ancora molto: si tratta di garantire la portabilità effettiva e facile di tutti i dati personali. Certo, la cosa richiede i regolamenti che Zuckerberg invoca ma senz’altro si presta anche allo sfruttamento delle varie invenzioni digitali che custodiscono tutti i nostri dati e che si interfacciano facilmente con ogni strumento elettronico e digitale. Quando si tratta di idee che creano anche moneta, Zuck è bravissimo. Sul resto, temi filosofici, etici, politici, la solita noia. Zuck, come ormai fa da anni, si appella a nuove leggi, nuovi regolamenti, nuove sanzioni. Stavolta, seguendo la moda sociale del momento, fa appello ai governi nazionali, citando pure espressamente la collaborazione con la Francia, unico stato nazionale nominato singolarmente.

 

  

Come tutte le altre volte, l’appello risulta pateticamente, struggentemente, sicuramente inefficace. Mi spiace che Zuck probabilmente non abbia l’occasione di leggere “I promessi sposi”: le “grida” manzoniane sono tuttora uno dei più chiari e ironici esempi di che cosa voglia dire una legge che opera senza condivisione di una società. Il problema vero, però, è che Zuck non esce da questo vuoto e vizioso circolo tra il suo cruccio e la soluzione legalistica perché non si pone le domande giuste. Il problema non è “come faccio a fermare il linguaggio violento?”, ma “perché la gente diventa violenta sui social?”. Il tema non è: “come faccio a impedire la manipolazione elettorale su internet?”, ma “che cos’è la manipolazione? E perché su internet diventa così efficace?”.

 

Sono temi di filosofia, di psicologia e di sociologia della comunicazione. Sembrano astratti e invece sono molto concreti. Se partisse da queste domande, Zuck capirebbe quanto la sua creatura abbia pescato nella profonda natura comunicativa dell’essere, scatenando una delle forze più potenti dell’universo e, per questo motivo, è impossibile fermarla; capirebbe che il mezzo è già il messaggio e che è organico all’essere umano; capirebbe che il controllo legale, pur necessario, non ha nessuna chance di essere una soluzione. Da questi studi capirebbe anche che, forse, la soluzione si trova di più in un’educazione dell’essere umano nella sua interezza – che include anche gli strumenti di cui ci serviamo per il nostro pensiero e che retroagiscono su di esso – e, soprattutto, in una concezione della società umana non solitaria e individualista. Infatti, sono le relazioni interpersonali vive, concrete, leali, aperte al dialogo vero e al confronto che sono i luoghi privilegiati per una critica vera, che non può essere né intellettualistica né imposta dagli estenuanti e inutili comitati di controllo che Facebook come le altre piattaforme ciclicamente organizzano. Solo che la famiglia, le amicizie, i gruppi, le associazioni e i sindacati, gli oratori e partiti – ossia la società formata dai suoi corpi intermedi – non si creano per editto ma per passione a degli ideali. Di questi sarebbe bello parlare una volta con il grande Zuck.

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