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Cattivo compleanno, Facebook

Eugenio Cau e Maurizio Crippa

Dialogo sui massimi sistemi (ma in tono svagato) tra un vecchio libertario senza profilo ma che crede alla libertà pure per gli haters e un giovane esperto di social media un filo più disincantato

Caro Maurizio, ma allora ti sei iscritto a Facebook?

  

Caro Eugenio, è da un po’ che mi frulla l’idea, soprattutto per le foto delle ragazze, lo sai benissimo. Mica i video di Salvini. Ma ho paura. Non del #MeToo, eh. E’ la faccenda di essere tracciato, come un pomodoro dell’Agro nocerino-sarnese. Mi è appena arrivato un messaggio da un account sconosciuto: è il mese del tuo compleanno, regalati un purificatore per l’acqua. Come fanno a saperlo che bevo acqua sporca? Voi che sapete come girano gli algoritmi mi fate paura: tu, ad esempio, come lo sai che voglio iscrivermi a Facebook? Hai fatto data hoarding? Non è la cosa per cui la Germania gli ha appena dato una stangata, a Facebook? Non è che è una trappola per tordi?

 

“Ho paura di essere tracciato, come un pomodoro dell’Agro nocerino-sarnese”. “Lo sei già, hai presente lo shadow profiling?”

“Prova a scrivere uno dei tuoi post sull’estetica di Werner Herzog, e vedi quanti like ricevi. Pochi, e sono buono”

No Maurizio, non c’è stato bisogno di fare data hoarding, che poi l’Antitrust tedesco sanziona anche me, né hacking. Il fatto è che sei l’ultima persona che conosco che ancora non è su Facebook. Tu e Paola Peduzzi, ma lei si sta godendo la soddisfazione di essere stata la prima odiatrice di Facebook. Si iscriverà soltanto quando tutti se ne saranno andati. Non c’è ragione di temere di essere controllati: lo siamo già. Lo sei già, se è vero quello che si dice dello “shadow profiling”, che è quella tecnica per cui Facebook tiene traccia anche di quei pochissimi che ancora non sono iscritti, e li segue come un’ombra. Nella trappola per tordi ci sei già, meglio starci confortevoli, no?

 

Ah, Eugenio… Mi stai dicendo confortevole come una casa di riposo? Una volta sembrava una cosa da millennial (e che ci andavo a fare?), ora dicono che ci sono solo i miei compagni del liceo. Sai che palle. Poi noi vecchi abbocchiamo sempre, no? Siamo i più esposti alle fake news. Non sappiamo usarli, questi aggeggi.

 

Sì Maurizio, Facebook di recente è diventato come quota 100: appena compi i cinquant’anni, cerchi di entrarci dentro. Noi millennial lo stiamo abbandonando gradualmente, quei poppanti della generazione Z l’hanno saltato e sono passati direttamente a Instagram (Zuck si frega le mani comunque), ma voi boomer tendenza generazione Y su Facebook siete la demografica più entusiasta. Facebook vi ama così tanto che non cambia la grafica da dieci anni: è per darvi ancora quella sensazione calda di bolla dot com.

 

Lo ammetto, Eugenio, sarà anche la questione della volpe e l’uva (che poi è il narcisismo al tempo in cui non c’era Facebook: mi si nota di più se vengo…). Molti anni fa, mi feci prestare una cassetta di Baglioni. (Allora esistevano le cassette). Per provare, non l’avevo mai fatto (tipo: non ho mai sniffato, com’è?). Salgo in macchina, metto Baglioni. Dopo due km, mi vedo come dall’alto, hai presente i film sulla Route 66? C’è sempre una macchina nel deserto ripresa dall’alto. E io sono dentro che sento Baglioni, Dio mio no!, come cantava Battisti. Ho tolto la cassetta. Mai più sentita. Ecco, mi vedo: ripreso da un drone-algoritmo mentre sto su Fb. Ma che ci faccio qui? Sono solo passatista? Dammi un motivo valido per convincermi.

 

Maurizio, non c’è! E’ come il Festival di Sanremo, per tornare a Baglioni. C’è dentro metà della popolazione mondiale, Facebook fa il 50 per cento di share tutto l’anno (è meno in realtà, ma per amor di metafora…), ma nessuno sa davvero perché dovrebbe sopportare la frustrazione di starci dentro. Ti faccio un elenco di alcune delle motivazioni più comuni per cui noi ci rimaniamo, magari trovi la tua:

 

- “Ci sono tutti i miei amici” (traduzione: trascorro la pausa pranzo a scorrere le fotografie dei miei compagni del liceo stronzi che hanno fatto i soldi e a febbraio svernano alle Fiji).

- “Grazie a Facebook ho ritrovato tutti i miei compagni delle scuole elementari” (traduzione: pratico attivamente lo stalking).

- “Io mi cancellerei, ma mi serve per lavoro” (traduzione: lo uso per broccolare le ragazze/i).

 

Ecco, caro Eugenio, passiamo alle cose serie. Sì insomma, all’unica cosa che interessi davvero a un maschio caucasico di mezza età con titolo di studio alto e professione da ceto medio riflessivo: Facebook funziona per broccolare le ragazze? Suvvia, non vorrai dirmi che un Gianni Riotta – che so, è giusto per fare un nome, absit iniuria verbis – ha una pagina Facebook perché vuole leggere in anteprima i post di Jill Abramson (che poi li copiava pure). O essere connesso con l’informazione mondiale… manco un nerd, non scherziamo. Ci conosciamo tutti, anche senza amicizia su Fb, noi bianchi caucasici: è per questo che, una volta che sei dentro, nessuno può mai uscire da Facebook.

 

Maurizio, sono un millennial: ho paura del #MeToo. Non hai visto che sopra ho scritto “ragazze/i”? Forse avrei dovuto scrivere ragazz*. Però sì, se me lo chiedi broccolare è una delle ragioni principali per stare su Facebook. Ma è una danza penosa. Quando un* ragazz* posta la frase brutta di una canzone brutta di Vasco, tu devi mettere il like per mostrare apprezzamento, e magari commentare: “Bella questa, ma Albachiara non la batte nessuno ;-)”. Poi se da cosa nasce cosa passate alle chat private, dove vi potere scambiare le foto intime. Ma non è consigliabile. Facebook è diventato molto puritano molto presto, e ci sono metodi più efficienti per scambiarsi selfie con le mutande al ginocchio senza finire come Jeff Bezos, che deve dare “fondi illimitati” a un investigatore famoso per evitare un ricatto da miliardari, e nonostante tutto siamo qui ad aspettare che le sue foto intime escano, specie quella in cui “un mr. Bezos senza maglietta… indossa dei pantaloncini stretti e la sua mascolinità semieretta sta penetrando la cerniera lampo del suddetto capo di abbigliamento”. E’ una roba che si è autopubblicato Bezos, questa. Per anticipare lo scandalo. Non è il caso di ridursi così.

 

“Ma Facebook funziona per broccolare le ragazze?” “Maurizio, sono un millennial, ho paura del #MeToo”

“Andrà tutto bene, d’ora in poi”, era il claim. “Iscrivetevi a Fb, siate amici, comprate online, scopate online, crepate (online?)”. E poi?

Hai ragione Eugenio. Sì, la deriva è seria. Ecco il vero motivo (anzi uno dei due, l’altro dopo) per cui da un po’ di tempo mi punge vaghezza (se scrivo “punge vaghezza” su Fb non mi dà l’amicizia manco Cristicchi, eh?) di farmi un profilo. E’ da quando Facebook è diventato questa specie di collegio vittoriano, tutto moralismo e pruderie, il linguaggio risciacquato nella candeggina del #MeToo. Mi viene voglia di andarci davvero e tampinare le ragazze. Maddai! Zuckerberg è diventato peggio di monsignor Caffarra, ma meno credibile. Invece la storia vera è un’altra: lui ha inventato questa macchina infernale solo perché era un nerd sfigato e voleva i contatti di tutte le fighe del college. “Jessica A is a bitch,”, scrisse. Adesso si arresterebbe da solo. Ma che è successo?

 

Maurizio, è successo che Zuckerberg si è comprato una villa da 43 milioni di dollari (e pure tutte le ville intorno per garantirsi la sua privacy, ma su questo magari torniamo) e l’ha fatto perché ha scoperto che la pubblicità tira più delle ragazze. E la pubblicità, specie in America, è bigotta. Zuckerberg l’ha imparato dai suoi colleghi di YouTube, per esempio, che qualche anno fa hanno fatto un mezzo disastro con la pubblicità (circolavano video di propaganda islamista, e la Coca-Cola non era contentissima di essere associata al jihad) e da allora è diventato una piattaforma talebana. I poveri youtuber non possono nemmeno dire le parolacce, altrimenti gli tolgono la pubblicità. Li controllano con l’intelligenza artificiale!

 

Mamma mia, caro Eugenio. Ma cosa è stata, la grande illusione? La libertà è durata meno di quindici anni? Era l’utopia della vita come una eterna notte prima degli esami? (scusa, è la pervasività di Sanremo), e poi stop? Adesso è rispuntata questa parolina: la censura. Non l’avresti creduto, eh? Il nostro Christian Rocca, che era un fan del Brave New World, ora ci fa un libro: “Chiudere internet”. 

 

Provo a spiegarti, Maurizio. David Heinemeier Hansson, che è un nerd-rockstar che ha inventato un linguaggio di programmazione e un paio di aziende milionarie, qualche tempo fa ha scritto su Twitter: “Considerando l’ampiezza e le capacità, penso che sia piuttosto ragionevole dire che Facebook è la cosa peggiore che sia mai capitata a internet”. Io certo non arrivo a tanto. Ma questo tipo di opinioni circola sempre di più, perché internet era un progetto di libertà e di LSD, mentre Facebook è un progetto di connessione e di controllo. Ma è diventato così grande che si è mangiato quasi tutto internet, e adesso le due parole sono spesso considerate intercambiabili. Sai perché Facebook ama i baby boomer? Perché loro conoscono soltanto Facebook. E Google, quando devono cercare il porno.

 

Hai colto il punto, Eugenio. Sai come la penso? Te l’ho già detto altre volte. Facebook è stata l’età dell’amicizia – che non è esattamente l’età dell’innocenza, quello è un gran film di Scorsese. Ci hanno raccontato: ecco, finalmente il mondo sarà tutto friendly, un posto dove non ci si può mai fare male. La parola “amicizia” è stato il grande algoritmo degli anni Zero e Dieci, il volano per la globalizzazione dopo la strizza dell’11 settembre. “Andrà tutto bene, d’ora in poi”, era il claim sottopelle. “Iscrivetevi a Fb, siate amici, comprate online, scopate online, crepate (online?)”. E poi? “What’s going wrong?”, come cantava il mio amico Neil?

 

Maurizio, ci piacerebbe saperlo anche a noi, che cosa è andato storto, perché da queste parti ci credevamo davvero che se voi avevate avuto Thatcher&Reagan noi avremmo avuto Zuckerberg&SteveJobs. E invece uno è morto prematuramente, l’alto non ha fatto abbastanza terapia e non è mai riuscito a superare la sua sociopatia. Voleva un mondo in cui tutti fossero amici, e invece ha creato uno strumento che rende più miserabile chi lo utilizza a lungo. Non è una delle tante critiche di Paola Peduzzi: sono gli stessi ricercatori di Facebook che lo hanno dimostrato.

 

Ti ribatto in politica, caro Eugenio. I padroni dell’algoritmo ci hanno promesso: finalmente potete dire quel cazzo che volete, uno vale uno, libertà per tutti. Poi hanno scoperto che se lasci dire a tutti quel cazzo che vogliono (è la democrazia, bellezza) vince Trump, fanno la Brexit, c’è Beppe Grillo, arrivano i troll russi e pure quelli cinesi a bordo del 5G. E allora i politici, che pure avevano mandato avanti gli Zuckerberg in esplorazione, adesso dicono: cippirimerlo, non era vero, la ricreazione è finita. Adesso controlliamo noi chi parla e cosa dice. Mi sbaglio? Spiegami.

 

Maurizio, il problema grosso non è dire il cazzo che vogliamo. E’ l’algoritmo. Che è poi la differenza che c’è tra internet e Facebook. Vuoi sapere qual è la metafora più facile per spiegare cos’è un algoritmo, quella che si trova in tutti i libri di divulgazione? Quella della torta di mele. L’algoritmo è la ricetta per fare la torta di mele. E’ una serie di istruzioni che dice che in presenza di certi ingredienti bisogna mescolare così, impastare cosà e mettere in forno. Per Facebook, la torta di mele vale 470 miliardi di dollari (dato di ieri), e la ricetta per ottenerla è: promuovere quello che funziona. Appena ti iscrivi a Facebook, prova a scrivere un post dei tuoi, su “Fitzcarraldo” e l’estetica di Werner Herzog. Sai quanti like prende? Pochi, e sono buono. Scrivi un bel post sui migranti stupratori, in cui dici bacioni e mangi la Nutella, e vedi che l’algoritmo va tutto in eccitazione, perché sente che ci sono gli ingredienti giusti per la torta di mele, e ti spara la tua invettiva in lungo e in largo. Da un po’ di tempo c’è qualche politico che dice che quest’algoritmo, assieme a tutti gli altri algoritmi che ci sono in giro, va cambiato in qualche modo, e la chiamano censura, ma io penso che ci siano alcuni argomenti validi, da trattare con estrema cautela.

 

Eugenio, io sono contrario, sono un vecchio libertario. Così adesso mi viene voglia di aprire Facebook anche solo per questo: che prima ci hanno detto che era il mondo nuovo, la globlisasiùn, che la t’endormenta cume un cuiun, come direbbe il mio amico Enzo. Poi arriva uno come Cass Sunstein, l’avvocato di Obama che è più ricco da solo di tutto la Borsa di Nwe York, quello che ha fatto tutte le regulation e le deregulation, e dice: è ora di mettere dei controlli, di inventare il “tasto serendipity” che se tu segui solo i tuoi amici della bolla – che so, quelli vegani – ti rimanda ai link dei carnivori scientisti e vaccinisti. E se non li leggi, ti chiudiamo l’account. Capisci che mi viene di dire: ma sticazzi, hanno ragione i leoni da tastiera, gli haters, quelli che vogliono dire quel che vogliono, pure di Trump e dei negher e di Asia Argento. C’è la democrazia o abbiamo scherzato?

 

Abbiamo bisogno di te, Mauri. Vieni a guidare la protesta contro il tasto serendipity, assieme ai trumpiani, agli antivaccinisti e a Salvini?

 

Okay Eugenio, mi hai convinto. Non è che quando hai finito di smadonnare con il sistema editoriale del Foglio, mi spieghi come cazzo si apre ’sto profilo di Facebook?

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