(Foto Pixabay)

Perché tutti guardano YouTube ma nessuno ama YouTube. Due esempi

Eugenio Cau

Il video con più “dislike” prodotto dall'azienda e la radicalizzazione dai video complottisti

Roma. YouTube, al contrario di Facebook, consente agli spettatori di giudicare un video sia in maniera positiva, con un pollice all’insù, sia in maniera negativa, con un pollice verso. Fino a pochi giorni fa, il video con più “non mi piace” della storia di YouTube era un video di Justin Bieber, ma è stato superato la settimana scorsa: il nuovo video più detestato di YouTube è un video di YouTube – vale a dire: prodotto dall’azienda. Si chiama “Youtube Rewind” ed è un’iniziativa nata nel 2011 per celebrare i contenuti di maggior successo dell’anno.

 

All’inizio, Rewind era un collage dei video più visti, ma più YouTube è diventato una piattaforma famosa più Rewind è diventato una grande vetrina per mostrare agli inserzionisti le possibilità di business. Tutti gli anni gli youtuber più famosi vengono radunati in un’enorme produzione variopinta creata per mostrare agli inserzionisti che YouTube è un prodotto su cui investire se si vuole raggiungere il segmento di mercato dei più giovani.

 

Ma la produzione è completamente scollegata dalla cultura della piattaforma. Il video è un collage di momenti imbarazzanti: Casey Neistat, uno youtuber quarantenne molto cool, è stato messo a ballare pop coreano in maniera ridicola. Marques Brownlee, il più famoso recensore di accessori tecnologici, è stato infilato in una scena da videogioco senza capo né coda. PewDiePie, che è lo youtuber più famoso del mondo, è invece stato escluso perché il suo personaggio è controverso, e non piace agli sponsor.

 

Gli spettatori si sono sentiti traditi e hanno affibbiato 13 milioni di “non mi piace” al video, un record. Gli youtuber che avevano partecipato, mortificati e vergognosi, hanno pubblicato video di scuse. Quelli che sono stati esclusi hanno pubblicato video trionfali di critica. YouTube – la compagnia, la piattaforma – ne è uscito come il cattivo, che vuole trasformare uno strumento di produzione dei contenuti selvaggio e libero in una specie di MTV del Ventunesimo secolo, con un palinsesto normalizzato e tanta pubblicità. Il fiasco di Rewind è la prima faccia di YouTube: una piattaforma nata dalla creatività dei suoi membri e che, nel tentativo di monetizzare il più possibile, finisce per tradirli.

 

Il secondo caso che ha riguardato YouTube è descritto in un pezzo del Daily Beast, che ha ripreso la teoria del “grande radicalizzatore” resa famosa dal New York Times un anno fa. Funziona così: avete presente quando cercate su YouTube la videoricetta per fare la pasta alla carbonara e automaticamente vi si squadernano davanti infiniti video di cucina, uno più intricato dell’altro? Ecco, l’algoritmo di YouTube che consiglia agli spettatori quali video guardare funziona così con tutto, perché gli ingegneri hanno capito che c’è un solo modo modo tenere gli utenti incollati agli schermi: alzare continuamente la posta.

 

Se cercate video su come funziona il sistema bancario, presto sarete risucchiati nei complotti sul signoraggio. Se cercate video sull’allunaggio, presto YouTube vi consiglierà teorie ambigue su come lo sbarco sulla luna sia stato diretto da Kubrick negli studios di Hollywood. Il Daily Beast intervista alcuni giovani che sono stati risucchiati in questo meccanismo di radicalizzazione e che dai video complottisti su YouTube sono passati all’estremismo (di destra, ma non solo) nel mondo reale, spesso con conseguenze gravi. Il problema della radicalizzazione è la seconda faccia di YouTube: una piattaforma che si basa sull’attenzione dei suoi utenti e che, nel tentativo di monetizzare il più possibile, finisce per tradirli.

 

In questi due casi sta tutta la crisi d’identità di YouTube, che vorrebbe diventare il più grande mezzo d’intrattenimento dell’èra digitale utilizzando il lavoro volontario di una comunità di creatori eterogenea e difficile da controllare (gli youtuber) e che al tempo stesso deve usare tutte le tattiche a sua disposizione per attrarre un pubblico facile a distrarsi. La piattaforma cresce, ma si basa su presupposti labili.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.