La fine del culto della tecnologia

Google voleva sconfiggere la morte, ora il suo capo dice: siamo stati naïf

E’ probabile che quando Sundar Pichai, il ceo di Google, si è seduto pochi giorni fa negli uffici del New York Times per la classica intervista riparatrice dopo i grandi scandali che hanno colpito la sua azienda, non immaginasse che inavvertitamente avrebbe pronunciato la frase che pone fine al mito della Silicon Valley.

 

L’intervista verteva sui problemi di Google, sullo scoppio del #metoo dentro agli uffici del motore di ricerca, sul calo della fiducia che tutte le aziende del mondo tecnologico hanno subìto negli ultimi tempi. Poi, alle ultimissime battute, Pichai ha sparato la frase che ha fatto il titolo dell’articolo: “La tecnologia non risolve i problemi dell’umanità. E’ sempre stato naïf pensarlo”. Da sola, non è una frase che sconvolge. Nessuna persona sana di mente poteva davvero pensare che l’umanità sarebbe stata condotta a uno stato di maggiore beatitudine grazie alla tecnologia. Peccato che invece gli insani di mente che lo pensavano, e che propagandavano questa teoria ai quattro angoli del mondo, fossero proprio Pichai e i suoi colleghi della Silicon Valley.

 

Oggi il capo di Google dice che la tecnologia non risolve i problemi dell’umanità, ma soltanto pochi anni fa Google investiva milioni di dollari nel progetto Calico, che aveva (ha ancora) come obiettivo quello di risolvere il problema dell’umanità: sconfiggere niente di meno che la morte. E’ vendendo sogni del genere, più ancora che smartphone e computer, che la Silicon Valley ha costruito il proprio mito di luogo dove i miracoli possono accadere, e che per questo trascendeva le regole (di responsabilità, di controllo esterno, di attenzione morale) degli altri mortali. Ora Pichai ci dice che era tutto sbagliato, che la fiducia cieca e assoluta per la tecnologia era un miraggio, che dobbiamo rivolgerci altrove per risolvere i nostri problemi. E’ così che comincia la fine di un mito.

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