Jack Dorsey (foto LaPresse)

Il dilemma di Jack Dorsey

Eugenio Cau

Cominciano le udienze della Silicon Valley al Congresso americano, con Twitter come osservato speciale

Roma. Immaginate per un attimo che Donald Trump, infuriato perché alcuni dei suoi sostenitori più estremi e suprematisti sono stati banditi dai social media, decida di abbandonare Twitter. Per Twitter sarebbe una catastrofe. Il social network guidato da Jack Dorsey è in crisi da anni, e con i suoi 335 milioni di utenti attivi non può nemmeno più considerarsi come un valido concorrente di Facebook, che di utenti ne ha quasi due miliardi e mezzo. Ma la presenza di Donald Trump, in questi anni, è stata un elisir rigenerante. Trump ha usato Twitter per fare battaglia politica, diplomazia, per brutalizzare avversari e alleati. L’ha usato per minacciare guerre e attacchi militari. Grazie a Trump, Twitter è rimasto sempre al centro dell’attenzione pubblica, citato dalle televisioni, embeddato sui siti dei grandi giornali. Senza Trump, mantenendo i trend attuali, Twitter sarebbe una ridotta di giornalisti che parlano di giornalismo – fino a un paio d’anni fa c’era ancora qualche stella del mondo dello spettacolo, ma ormai si sono trasferite su Instagram. Capirete adesso il dilemma di Jack Dorsey, che si è manifestato tutto lo scorso mese, quando Apple, Facebook, YouTube, Spotify e tutto il mondo tecnologico hanno bandito dalle loro piattaforme Alex Jones, un complottista e predicatore d’odio molto trumpiano. Twitter è stato l’unico a lasciare Jones intoccato, e secondo una rivelazione del Wall Street Journal è stato un ordine esplicito di Dorsey a graziarlo.

 

Oggi cominciano al Congresso americano le udienze dei leader della Silicon Valley. Saranno presenti Sheryl Sandberg, braccio destro di Mark Zuckerberg a Facebook, un rappresentante di Google e Jack Dorsey. Il tema delle udienze è l’interferenza straniera nella politica americana, ma è probabile che a Dorsey sarà fatta un’altra domanda: cos’è per te la libertà d’espressione? 

 

L’udienza di oggi sarà tenuta dalla commissione Intelligence del Senato e sarà soltanto la prima di una serie: a inizio ottobre la commissione Giustizia vorrà sentire di nuovo i rappresentanti delle aziende della Silicon Valley per parlare di possibili azioni antitrust.

 

E’ facile immaginare che, visto il tema politicamente carico e considerato il precedente dell’udienza di Mark Zuckerberg questa primavera, la discussione congressuale si svolgerà secondo linee partitiche: i democratici sono molto arrabbiati con le aziende tech perché, a loro dire, non hanno fatto abbastanza per tenere a bada i discorsi d’odio dei rappresentanti dell’estrema destra come Alex Jones e per evitare le operazioni d’influenza di russi e altri. I repubblicani sono ancora più arrabbiati perché, a loro dire, la Silicon Valley è vittima di un liberal bias che provoca una svalutazione sistematica dei contenuti di stampo conservatore, quando non direttamente la loro censura. Trump è stato molto attivo nella condanna dei social media liberal, e nei giorni scorsi ha usato Twitter per minacciare di gravi conseguenze dapprima Google, poi Facebook e poi lo stesso Twitter.

 

Per nessuno dentro alla Silicon Valley la situazione è semplice: Google e Facebook non hanno alleati espliciti al Congresso. Twitter, però, ha molto più da perdere di chiunque altro. All’inizio del decennio, quando il social media era lo strumento d’elezione di movimenti nobili e idealistici come le primavere arabe (almeno nella loro fase iniziale), Twitter si fece la fama di avanguardia della libertà d’espressione a tutti i costi. Mentre Facebook obbligava i suoi utenti a usare nome e cognome, Twitter consentiva l’anonimato. Twitter era la piattaforma orgogliosa di reporter intrepidi e combattenti per i diritti umani, ed era conveniente mostrarsi puri. Ma negli ultimi anni, mentre Twitter si trasformava nel megafono di Donald Trump e di variegati eserciti di troll, le cose si sono fatte più complicate. Jack Dorsey è passato da eroe libertario a difensore di personaggi equivoci ed estremi. L’articolo del Wsj pubblicato ieri (e categoricamente smentito da Twitter) rivela che Dorsey avrebbe scavalcato le decisioni del suo staff per la sicurezza e deciso unilateralmente di lasciare Alex Jones sul social network, anche dopo che era stato dimostrato che Jones aveva ripetutamente violato il regolamento interno. Nel 2016, inoltre, Dorsey avrebbe fatto lo stesso per Richard Spencer, uno dei leader dei suprematisti bianchi americani. La difesa di personaggi pericolosi ed estremisti come Jones e Spencer potrebbe essere una questione di libertà d’espressione, oppure un modo goffo per dimostrare equidistanza ideologica tra democrazia e suprematismo.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.