Cinquanta sfumature di innovazione

Michele Masneri

L’America culla della cultura digitale e le eccezioni italiane. Le tenebre del populismo e la crisi del pensiero progressista. Cronaca semiseria del primo Tech Festival del Foglio a Venezia. Con politici, manager, startupper, cuochi scienziati

Sotto lo sguardo severo dei profeti affrescati nella cinquecentesca Scuola Grande della Misericordia, nel cuore di Venezia sovraffollata dal Ponte del primo maggio (o del venticinque aprile, non si capisce bene, taluni hanno unificato), proprio mentre il comune ha istituito i varchi anti-turisti, folle si avviano verso la prima edizione del Foglio Tech Festival.

 

Apre l’augusta giornata il presidente della Biennale di Venezia Paolo Baratta, molto a suo agio nel suo simil Ted-talk, ricordando il periodo dell’Italia degli anni Cinquanta, quello pionieristico del grande design dei Sottsass, dei Magistretti, dei Castiglioni. Salto in avanti, non solo design ma anche social network. Baratta ha ammesso di non amare particolarmente i social, aggiungendo che gli piacerebbe che oltre al tasto “like” su Facebook ci fosse anche uno “dislike”. Notazione interessante: il mondo dell’arte, dice, è l’unico in cui quando arriva una nuova tecnologia non manda nel cassetto le altre.

 

 

Juan Carlos de Martin, del Politecnico di Torino, nel suo intervento “Conoscere (il digitale) per deliberare”, si è chiesto come mai tutti i cinque maggiori gruppi al mondo siano in America. La risposta? Perché lì un imprenditore oggi può contare su almeno tre generazioni alle spalle di imprenditori digitali. Una specie di eredità che in Italia non c’è. Certo da noi ci sono stati casi come Enrico Fermi o Adriano Olivetti, grandi innovatori e pionieri, ma sono state eccezioni. Ecco perché serve, ha detto de Martin, una grande iniziativa pubblica per diffondere la cultura digitale, come quelle che stanno avvenendo in Francia e Germania. Sottinteso: di Stato (tra le prime file Franco Debenedetti, che sobbalza, nella sua camicia a righe Issey Miyake vintage, e dissente su twitter, soprattutto quando viene citata l’odiata statalista-siliconvallica Mariana Mazzucato)

 

Lorenzo Maternini, vicepresidente e cofounder di Talent Garden, il più ampio network di coworking d’Europa, e una delle startup più di successo d’Italia, ha raccontato la loro avventura, da Brescia nel 2012 fino a San Francisco dove stanno per aprire un innovation outpost insieme a Cassa depositi e prestiti, al ministero degli Esteri e all’Ice, per creare una “casa” per gli startupper italiani (è il momento #orgogliobrescia, quando arriva anche un altro speaker, Marco Balich, ideatore di grandi cerimonie olimpiche, ma soprattutto dell’albero della vita che ancora alberga nell’area Expo, realizzato com’è noto da maestranze e committenze bresciane; e molto simile peraltro al logo del Foglio Tech Fest; sarà un complotto bresciano?). Balich parlato della sua esperienza di grande creatore di spettacoloni immaginifici in giro per il mondo, e del fatto che dopo l’Opera, l’Italia non ha mai più esportato un concept innovativo di intrattenimento.

 

Uno degli interventi più attesi della mattinata è poi quello del ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda che parla con piglio da statista, camicia a righine, forse sottratto a Capalbio. Il populismo, dice, non ha mai un riferimento al futuro, ma racconta solo il presente, e pure in malo modo, dice intervistato dal direttore del Foglio, Claudio Cerasa. “I progressisti devono essere invece gestori delle transizioni”. Già, ma qual è la definizione di progressismo, visto che il pensiero liberal è ovunque moribondo? “Il pensiero progressista non può essere economico, e non può essere un pensiero tecnico. E’ una dimensione che è andata via via affievolendosi. Era contenuto nella Terza via, quella che ha formato le socialdemocrazie dagli anni Novanta, ma di cui si è persa la dimensione più importante, quella umanistica”. Tutta questa competenza è offensiva in epoca grillina. Calenda parla di illuminismo, identità, romanticismo. Dice che sta studiando molto, sta preparando un nuovo libro (Un libro! Ma allora è un provocatore!). “Abbiamo bisogno in Italia di un partito capace di articolare un pensiero profondo ma ancorato alla realtà” dice ancora il ministro più chic di questa transizione che forse durerà per sempre.

 

L’esito del voto, secondo Calenda, ha reso evidente un passaggio: “L’epoca della politica motivazionale è finita; la politica è rappresentanza, le ultime elezioni hanno reso evidente tutto questo. Insomma bisogna mettere da parte atteggiamenti di superiorità culturale: bisogna riconoscere invece e comprendere le paure che anche l’innovazione tecnologica crea”. Nella tenebra però bisogna fare qualcosa. “E’ proprio in questo scenario che è necessario puntare sull’innovazione. Bisogna iniziare a lavorare sulle generazioni future: e le sfide sono due, lotta all’analfabetismo funzionale, e premiare gli imprenditori che investono”. Nessuna delle due pare facile.

 

L’amministratore delegato di Cassa depositi e prestiti, Fabio Gallia, ricorda pure lui di come serva anche cambiare il clima culturale in Italia: “Da noi fino al 2008 esisteva un registro degli imprenditori falliti. Non uno dei corrotti, ma uno dei falliti”; una specie di gogna, insomma. Tutto così poco Silicon Valley.

 

Mario Rasetti, professore emerito di Fisica teorica e presidente della Fondazione ISI, spiega quanto vasta è la complessità del cervello umano: “Pesa solo un chilo e mezzo di materia gelatinosa, ma è composto da 90 miliardi di neuroni e 100 mila miliardi di sinapsi”, per dire che quando si parla di computer che ci sostituiranno si dice un’assurdità. I lavori sì, quelli saranno sostituiti da macchine; se ne stima il 60 per cento entro i prossimi sei-sette anni (anche quello del giornalista, ha sottolineato il professor Rasetti, raccontando di una programma di intelligenza artificiale in grado di scrivere un intero articolo nel giro di un secondo. Panico in sala tra i colleghi).

 

Stefano Quintarelli, startupper, informatico, e anche deputato con la lista Monti nell’ultima legislatura, ha raccontato la sua esperienza nell’intergruppo parlamentare per l’innovazione tecnologica da lui creato. “Eravamo visti come degli alieni”, ha detto Quintarelli chiaramente sollevato dalla fine di questo periodaccio. “Il Parlamento è pieno di avvocati, mentre di informatici eravamo solo 4 su mille”. Quintarelli ha poi lanciato tre proposte: una Commissione permanente per l’innovazione; un ministro per la trasformazione digitale; e una nuova governance dei partiti, che non premia più il merito ma l’affiliazione. Suggerisce di copiare il sistema di cooptazione dei dogi.

 

Chris Lehane, direttore degli affari internazionali di Airbnb, già portavoce di Al Gore e consigliere di Clinton durante il caso Lewinsky, non ha potuto esserci e ci ha mandato dunque un messaggio video. L’ambasciatore globale del gruppo californiano ha ricordato le potenzialità dell’Italia e la necessità che si arrivi a un grande piano nazionale del turismo anche se tutti avrebbero voluto chiedergli dell’affare Lewinsky e del fatto se sia vero che il personaggio di Doug Stamper di “House of Cards” è ispirato a lui.

 

Momento Masterchef: Heinz Beck, tre stelle Michelin col suo ristorante romano la Pergola su all’Hilton di Monte Mario, ha svelato un’anima più da scienziato che da chef (anzi da cuoco, perché, dice, “oggi si definiscono tutti chef”). Ha rivelato suoi ampi studi su una pizza più digeribile, e vaste sperimentazioni sul fiore di zucca (con conseguenti honoris causa).

 

Francesco Venturini, capo di Enel X, la divisione avveniristica del gruppo elettrico, ha parlato delle nuove tecnologie e in particolare del lampione intelligente che un giorno ricaricherà le auto (e viceversa: i lampioni potranno infatti anche “succhiare” energia dalle auto, ovviamente col consenso dei proprietari, e dietro corrispettivo: in modo da trasformare la Rete in un’unica grande batteria).

 

Roberto Maroni ricorda il ruolo della Lombardia come polo di innovazione soprattutto in alcuni settori come la biomedica, e i suoi anni al Viminale, e subito anche lui sembra Churchill rispetto al presente (rimpiangeremo dunque chiunque, per sempre?).

 

Marco Trombetti, patron di PiCampus, ecosistema romano delle startup, una piccola Silicon Valley di stanza all’Eur, ha raccontato del suo investimento in Boom, l’azienda californiana che sta progettando il nuovo Concorde. L’“artista eclettico” Ugo Nespolo spiega come tirare fuori l’arte dall’ombra per innovarla. Riccardo Cotarella, presidente degli Enologi italiani, parla di come l'agricoltura in genere e la produzione del vino in particolare, sia una delle tradizioni millenarie che più si è rivoluzionata negli anni. Poi arriva Piero Angela, parla di suo papà che era nato nel 1875, e poi ci sono ancora David Brooks del New York Times, e Costantino della Gherardesca che in giacca e cravatta fa un intervento seriosissimo su serie tv e politica estera, tra Aldo Grasso e Limes. Chiude Giorgia Abeltino di Google, che parla di innovazione consapevole. Prima di lei, Giovanni Benincasa, autore tv, con un imprevisto duetto dal pubblico con Alessio Viola, tipo Carmelo Bene.

 

Poi si esce e tra le orde di turisti si riflette che forse, per migliorare un po’ l’Italia e renderla più innovativa si potrebbe cominciare riducendo un po’ i ponti, nel senso di vacanze.

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