Perché l'Ue che si intromette negli affari di Apple può essere una rivoluzione

Eugenio Cau

L’acquisizione di Shazam, l’Antitrust e il mercato dei dati

Roma. Perché l’Unione europea ha annunciato un’indagine approfondita sull’acquisizione dell’app Shazam da parte di Apple per una cifra stimata a 400 milioni di dollari? Dei tanti deal sospetti che riguardano il mondo della tecnologia, quello tra Apple e Shazam sembra uno dei più innocui. Per l’Ue, invece, potrebbe essere l’inizio di una rivoluzione legale. Il giornalista Derek Thompson, nel suo libro del 2017 “Hit Makers”, descrive Shazam come un’app miracolosa. E’ probabile che l’abbiate già usata. Shazam è l’app che aprite quando sentite una canzone interessante al pub: ascolta la canzone, la riconosce e vi dice titolo e autore. L’app è in giro da molti anni, è stata scaricata più di un miliardo di volte, il suo successo ha generato numerosi cloni e ormai i suoi servizi sono dati per scontati. Oggi non c’è niente di miracoloso in un’app che riconosce le canzoni. Come sempre quando si parla di app e di prodotti digitali, tuttavia, il miracolo non è nel servizio, è nei dati. Shazam è uno degli strumenti più potenti oggi al servizio dell’industria discografica. Quando l’avventore di un bar sente alla radio una canzone che gli piace e ne cerca il titolo su Shazam, l’app ovviamente tiene traccia della ricerca. Gli utenti fanno 20 milioni di ricerche di canzoni al giorno con Shazam (dato di settembre 2016, è probabile che sia aumentato), e in questo modo è possibile ottenere una mappa aggiornatissima e dettagliata strada per strada dei gusti musicali di milioni di persone. Se nei locali di Los Angeles un artista ottiene particolare successo, con Shazam è possibile seguire la sua ascesa in diretta, man mano che le persone cercano le sue canzoni. I discografici americani usano Shazam per testare il successo di un brano: diffondono una canzone nelle radio di una città di provincia, usano Shazam per vedere quanto successo ottiene, e se va bene la lanciano sul mercato radiofonico delle grandi città.

 

In un mondo in cui la personalizzazione estrema dei gusti delle persone è la chiave del successo di un servizio digitale, Shazam è uno strumento potentissimo. Per questo Apple lo vuole. La società di Cupertino ha annunciato il deal lo scorso dicembre, e potrebbe usare Shazam sia per potenziare Apple Music, il suo servizio di streaming à la Spotify, sia per velocizzare, grazie alla gran mole di dati dell’app, il suo passaggio a compagnia che si occupa non soltanto di hardware ma anche di servizi.

 

L’Unione europea ha annunciato questa settimana che forse tutti questi dati sono troppi. Bruxelles ha giurisdizione sull’acquisizione perché Shazam è una società inglese, e sostiene che Apple possa approfittare dell’app per danneggiare la concorrenza, come Spotify e Deezer. In realtà, hanno notato molti analisti, dietro alla manovra c’è anche una concezione nuova e interessante dei dati, che la commissaria Antitrust Margrethe Vestager esprime già da qualche tempo, ma che soltanto dopo gli scandali di questi mesi sta assumendo significato. Se prima l’Antitrust si basava sulla concentrazione di monopoli, sui prezzi e sulle condizioni vantaggiose o meno per i consumatori, quando si parla delle compagnie digitali l’azione dell’antitrust deve basarsi sul dato. La domanda da porsi non è più: questa acquisizione aumenterà i prezzi per i consumatori?, semplicemente perché i servizi sono gratuiti. La domanda adesso è: questa acquisizione genera un’eccessiva concentrazione di dati personali degli utenti nelle mani di un’unica azienda?

 

Se questo principio, espresso da Vestager in più di un discorso, dovesse diventare comune nella gestione dei casi di Antitrust, sarebbe una rivoluzione. L’Unione europea ha tempo fino al 4 di settembre per concludere la sua indagine su Apple e Shazam, e nel caso approvare il deal, pretendere da Apple chiarimenti e concessioni, oppure bloccare tutto.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.