Ingvar Kamprad

La lezione di Billy

Luciano Capone

Ingvar Kamprad e la libreria Ikea ci ricordano che innovazione è anche essere noiosamente efficienti

Puoi diventare uno dei più grandi imprenditori e innovatori del secolo mettendo sul mercato un prodotto di massa, tecnologicamente avanzato, molto costoso e mai visto prima. E’ un’impresa complicata, che ti riesce solo se sei Steve Jobs. Ma molto più difficile è fare la stessa cosa, conquistare milioni e milioni di consumatori, con un prodotto economico e che esiste dalla notte dei tempi. E in quel caso sei Ingvar Kamprad, il proprietario del più grande mobilificio del mondo scomparso due giorni fa in Svezia all’età di 91 anni. Se nel caso del fondatore della Apple tutti hanno capito la portata rivoluzionaria dell’iPhone il 9 gennaio 2007, il giorno stesso della presentazione planetaria a San Francisco di quell’aggeggio che univa tre cose fino ad allora divise – l’iPod per ascoltare la musica, il telefono cellulare e un dispositivo per navigare su internet – ci sono voluti molti più anni per capire l’importanza di Billy. Nessuno sa neppure quale sia il giorno preciso del 1978 in cui, in una remota località della Svezia, venne assemblata la prima libreria-simbolo dell’Ikea. In effetti non c’era nulla di sorprendente o eccezionale in quelle quattro tavole di legno assemblate per poggiare sopra dei libri. Al designer Gillis Lundgren l’idea era sicuramente sembrata buona, tanto che aveva disegnato lo schizzo su un fazzoletto per paura di dimenticarselo, ma neppure lui avrebbe immaginato tanto successo. Oggi nel mondo ce ne sono 60 milioni, una ogni 100 persone. A Kättilstorp, un piccolo paesino del sud della Svezia dal nome impronunciabile come i mobili dell’Ikea, ogni tre secondi la Gyllensvaans Möbler ne produce una, per ventiquattro ore al giorno. Ma i duecento operai che assistono le macchine, nello stabilimento non hanno mai visto una libreria assemblata. Tutti i giorni 600 tonnellate di truciolato vengono trasformate dai macchinari in mensole e componenti della libreria, imballati, messi sui pallet e caricati sui camion. Billy è così diffusa da fare concorrenza al Big Mac. Se per misurare il potere d’acquisto nel mondo l’Economist ha infatti usato come parametro l’hamburger di McDonald’s per il suo “Big Mac Index”, Bloomberg ha invece preferito la libreria dell’Ikea per realizzare il “Billy Bookcase Index”.

  

Tim Harford, editorialista del Financial Times, ha inserito Billy nel suo libro sulle “50 cose che hanno fatto l’economia moderna”, insieme all’iPhone, il grammofono, la scrittura, il radar e gli antibiotici. Ma qual è il segreto del successo di un prodotto così semplice e banale? E’ la leggendaria ossessione di Ingvar Kamprad per la riduzione dei prezzi di vendita, che a livello imprenditoriale si è trasformata in una cura maniacale dei dettagli per abbattere i costi. Quella che gli ha fatto venire l’illuminante idea di vendere i mobili a pezzi per risparmiare non solo sull’assemblaggio ma soprattutto sul trasporto. E che è proseguita costantemente, con modifiche minime, quasi impercettibili, nel design, nei materiali, nelle dimensioni e nei metodi di produzione che hanno consentito a Billy di rimanere pressoché identica a quarant’anni fa ma con un costo del 30 per cento inferiore. La semplice libreria Ikea e l’ossessione per centesimi di Ingvar Kamprad ci ricordano che l’innovazione non è sempre rivoluzionaria, ma molto spesso incrementale: “Nell’economia moderna Billy è il simbolo di come innovazione non significhi soltanto nuove tecnologie super raffinate – scrive Harford – ma anche sistemi noiosamente efficienti”.

Di più su questi argomenti:
  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali