Mark Zuckerberg (foto LaPresse)

Ora chi credeva alle fake news deciderà se un sito è affidabile o no

Michele Boroni

Facebook propone un sondaggio per i suoi utenti, che potranno stabilire se la fonte di una notizia è attendibile. Ma il vero problema è che abbiamo sempre meno fiducia nei social network

Non si è mai parlato di algoritmi e “sistemi gerarchici dei contenuti” come in queste ultime settimane. Ma non è certo un caso. Il fatto è che in un periodo particolarmente critico per i social network e Facebook in particolare, bersagliato da mille attacchi e polemiche, dalle interferenze della Russia alla capacità di avvantaggiare i messaggi negativi, dal cyberbullismo alle fake news, Mark Zuckerberg ha comunicato al mondo una serie di modifiche piuttosto sostanziali per il funzionamento dell'algoritmo che ci permette di vedere i post nella nostra timeline. L'ultimo di questi riguardava proprio l'annoso tema delle fake news e la decisione da parte dell'azienda con sede a Menlo Park, California, che il modo migliore per gestirle è quello di demandare alla community l'affidabilità delle fonti che pubblicano su Facebook.

 

Fino a ieri questo era una semplice dichiarazione di Zuckerberg fatta attraverso un post, da oggi però le cose stanno prendendo una forma più chiara e, al tempo stesso, surreale. Quel “usare il vostro feedback per valutare le pagine” dichiarato dal boss di Facebook si è rivelato in tutta la sua banale semplicità. Il sito BuzzFeed oggi ha riportato quale sarà la modalità attraverso cui la community del social network più popolato al mondo misurerà l'autorevolezza delle fonti, ovvero delle testate che pubblicano su Facebook. Due semplicissime domande, che traduciamo letteralmente qui:

 

Conosci questi siti web? 

  • No

  

Quanta fiducia riponi in ciascuno di questi siti web? 

  • Completamente
  • Molto
  • In parte
  • Poco
  • Per niente

  

Il destino di publisher, testate e broadcaster dipende quindi da queste due banali domande, poste alle stesse persone che negli anni scorsi hanno creduto alle fake news, le hanno condivise con gli amici e che oggi, dall'alto della loro esperienza, si trasformano in giudici supremi della veridicità di una fonte giornalistica. Alla richiesta di spiegazioni da parte del direttore di BuzzFeed, il capo del news feed di Facebook Adam Mosseri ha puntualizzato che “la fiducia è solo uno dei tanti parametri, ma che viene applicato solamente per i publisher dei quali non abbiamo dati sufficienti, e non influenza la maggior parte dei media”. Quindi, verosimilmente, le grosse testate non saranno coinvolte in questa pantomima.

 

Del resto, come attestava un report pubblicato a fine 2017 da Parse.ly, in cui erano presenti i dati raccolti da 2.500 editori tra cui Wall Street Journal, Time, Mashable e Huffington Post, il traffico referral (ovvero quello generato dal clic su un link ipertestuale che lo indirizza alla pagina dove è contenuto l'articolo) derivato da Facebook è sempre meno rivelante. A gennaio 2017, Facebook (attraverso i suoi instant articles) provvedeva al 40 per cento del traffico esterno diretto ai siti degli editori, ma poi a metà anno è sceso al 26 per cento, segnando un meno 25 per cento rispetto allo scorso anno. Dall’altra parte, Google (con i suoi AMP, particolarmente efficaci su mobile) ha iniziato l’anno in maniera meno brillante, ma l’ha concluso riportando una crescita del 17 per cento rispetto al 2016.

 

Il problema principale quindi oggi non sta tanto sull'affidabilità delle testate ma – come scriveva questa mattina Pier Luca Santoro su Data Media Hub – su quanta fiducia abbiamo in Facebook. Tutto ci dice che il credito e le aspettative verso Facebook sono calate drasticamente, e questo emerge anche dal Trust Barometer dell'agenzia di comunicazione Edelman, che vede nell'Italia il paese dove la fiducia nei confronti del social network è più bassa rispetto agli Stati Uniti, alla Germania, al Regno Unito e alla Francia.

 

Lo stesso report evidenzia che il 63 per cento delle persone non è in grado di distinguere il “buon giornalismo” da falsità e cattiva informazione, e che per il 59 per cento degli individui è sempre più difficile dire se l’informazione è prodotta da un media degno di rispetto. Viene quindi da dire, usando un'espressione retorica fastidiosa, ma ultimamente piuttosto in voga “di cosa stiamo parlando!”.

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