Fermate i Whatsapp dei genitori a scuola

Claudio Cerasa

Hanno fatto più danni le chat di mamme e papà trasformati in sindacalisti dei figli che vent’anni di riforme. La fine del principio di autorità e la lotta contro la competenza. L’uno vale uno in classe. Populismo e diseducazione

Più che una legge anti fake news forse servirebbe una legge contro i genitori su Whatsapp. Se il ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli volesse lasciare un segno tangibile della sua presenza in questo governo, e volesse fare per una volta un buon servizio per l’educazione dei nostri figli, dovrebbe andare velocemente su Twitter e recuperare un cinguettio di Andrea Scrosati, numero due di Sky Italia, che tre giorni fa ha scolpito in centoquaranta caratteri una verità assoluta sulla quale le istituzioni, e sopratutto i genitori, dovrebbero riflettere. “I gruppi Whatsapp dei genitori hanno fatto più danni alla scuola italiana di venti riforme fallite”.

 

Il tema lo conoscete tutti: più o meno ogni genitore con un figlio a scuola – asilo, elementari, medie, persino liceo, fa lo stesso – tra le chat del proprio telefonino ha uno spericolato gruppo all’interno del quale con periodicità asfissiante si confronta con i genitori che hanno figli nella stessa classe del proprio. In un primo momento le chat hanno quasi sempre un tono cordiale, collaborativo, costruttivo, informativo. In un secondo momento, però, quando i genitori iniziano a prendere confidenza, le chat diventano spesso il motore isterico di una forma sofisticata di populismo familiare che porta molte mamme e molti papà a diventare in modo quasi istintivo i sindacalisti del proprio figlio. E che li porta a esprimere un sentimento non troppo diverso dalla teoria dell’uno vale uno. Un graffio ricevuto dal proprio bimbo diventa la spia di una disciplina fuori controllo. Un pidocchio comparso sulla testa diventa il riflesso di una scuola irresponsabile. Un metodo di insegnamento non gradito o compreso diventa l’occasione per organizzare moti di protesta contro l’insegnante di turno. Una critica non gradita al proprio figlio diventa il pretesto per mettere in discussione il principio di autorità degli insegnanti. Una preside severa è immediatamente lo specchio di una inevitabile deriva autoritaria dell’istituzione. E alla fine il principio è chiaro ed è evidente: i famigerati esperti non sono i depositari di una competenza superiore, e se siamo arrivati in una fase storica come quella in cui viviamo, in cui anche la scienza può essere considerata democratica, dobbiamo accettare l’idea che anche l’insegnamento possa essere soggetto ai giudizi del tribunale del popolo. Le decisioni dall’alto non possono essere più accettate. Un genitore vale come un insegnante. Una madre vale un preside. Un padre vale come un medico. Uno vale uno. Negli ultimi mesi, in giro per l’Italia, diverse scuole italiane hanno lanciato appelli ai genitori per disincentivare la proliferazione delle chat di classe.

 

La preside di una scuola di un piccolo comune toscano, Rosignano Marittimo, ha inviato a maggio una circolare interna in cui ha denunciato il clima da caccia alle streghe generato dalle chat dei genitori e ha invitato con un filo di rassegnazione le mamme e i papà a ricordare un concetto semplice: insegnare ai figli il rispetto delle regole non dovrebbe essere il segno di un mondo autoritario da combattere, ma dovrebbe essere una missione prioritaria di un bravo genitore e non solo di un bravo insegnante. Qualche mese fa, con lo stesso tono sconfortato, due presidi di due istituti milanesi, il Maffucci e il Giovanni Pascoli, hanno lanciato appelli simili ai genitori, denunciando entrambe la pericolosità delle chat delle mamme e dei papà dove “questioni nate dal nulla possono trasformarsi in problemi enormi e dove in tanti scrivono con leggerezza, senza riflettere sulle conseguenze e senza preoccuparsi di trasformare piccole questioni in caccia alle streghe”. Un genitore che si disinteressa della scuola del figlio e dell’insegnamento è ovviamente un genitore disattento. Un genitore che prova a impostare con le maestre dei propri figli lo stesso tipo di rapporto che tentano di impostare alla Casaleggio Associati con gli eletti grillini (io Tarzan, tu Cita) è un genitore che piuttosto che occuparsi di problemi diventa un problema. E da questo punto di vista gli insegnanti e i presidi che lottano ogni giorno contro quei genitori che tentano di applicare sui banchi di scuola la dottrina dell’uno vale uno sono i nuovi e formidabili eroi della lotta contro un’isteria che dovrebbe preoccupare più di una non candidatura di Giuliano Pisapia: il populismo scolastico. Più che una legge anti fake news, caro ministro Fedeli, forse servirebbe una legge contro i genitori su Whatsapp.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.