Come si trasforma un'azienda di stampanti in un gioiello tech?

La storia di Konica Minolta, che dalle macchine fotografiche analogiche alle stampanti punta tutto sull’innovazione per vincere la disruption – e apre un laboratorio a Roma

Eugenio Cau

C’erano una volta le “imaging company”, vale a dire quelle compagnie che, a partire dal boom del Dopoguerra, fino agli anni '90 si sono occupate in varia misura di tecnologia applicata all’immagine, che si trattasse di fotografia, del settore delle stampanti e delle fotocopiatrici, della diagnostica per immagini in campo medico e così via. Queste compagnie erano Kodak, Xerox, Fuji, Ricoh, ed erano i giganti tecnologici del loro tempo, titani corporate che sembravano fatti per durare. Sappiamo com’è andata a finire: il digitale ha menomato e spazzato via queste grandi compagnie tech.

 

Kodak è fallita e sta tentando un improbabile rilancio nel campo delle criptovalute. Xerox si è trascinata malamente per anni e giusto pochi giorni fa ha concluso i suoi giorni come compagnia indipendente facendosi acquisire da Fuji – quest’ultima miracolosamente è riuscita a salvarsi, ma solo perché la sua transizione al digitale ha avuto più successo di altri.

 

Di questo gruppo di storiche compagnie dell’imaging fa parte anche Konica Minolta. Per anni è sembrato che l’azienda giapponese fosse condannata a una lenta decadenza à la Kodak. Konica Minolta nasce nel 2003 dalla fusione tra Konica, produttore di pellicole fotografiche, fotocamere, stampanti e fotocopiatrici, e Minolta, una delle case fotografiche più famose del mondo. Le due aziende si unirono per competere nel settore della fotografia digitale, tra le altre cose, ma l’operazione fallì. Appena tre anni dopo, nel 2006, Konica Minolta vendette tutto il suo business della fotografia a Sony (che ha approfittato degli ottimi brevetti di Minolta per diventare una potenza in campo fotografico).

 

La strada sembrava segnata: Konica Minolta ha un business florido di stampanti, fotocopiatrici e altri servizi di imaging, ma è alto il rischio che anche questo faccia la fine del settore della fotografia analogica. Manca poco prima che la rivoluzione digitale si abbatta sul resto dell’imaging e renda obsolete anche stampanti e fotocopiatrici (ci siamo quasi).

 

Da qualche anno, tuttavia, Konica Minolta sta tentando di reagire. L’idea della dirigenza, specie della parte europea dell’azienda, è quella di trasformare la storica azienda giapponese in un polo di avanguardia nei campi più avanzati della tecnologia odierna, dall’intelligenza artificiale all’internet delle cose alla robotica. Ora, il problema è: come si trasforma un’azienda di stampanti in un gioiello tech in stile Silicon Valley?

 

Si comincia con gli investimenti. Konica Minolta ne sta facendo molti, anche in Italia. L’azienda ha aperto un centro di ricerca all’Eur di Roma, dove intende sviluppare parte dei suoi nuovi progetti e assumere più di un centinaio di ingegneri e ricercatori nell’arco di uno-due anni. Il laboratorio di Roma diventerà parte di un network di che comprende già tre centri di ricerca in Europa (Londra, Monaco di Baviera, Brno in Repubblica Ceca) e due negli Stati Uniti. Konica Minolta intende fare un investimento di 5 milioni di euro su Roma e la dirigenza dice che progetta una permanenza a lungo termine.

 

L’altra cosa da fare è: partire da ciò che si ha. “Occupiamo uno spazio di un metro per un metro in milioni di uffici in tutto il mondo”, dice al Foglio Dennis Curry, capo della ricerca globale di Konica Minolta e vice cto (chief technology officer). Curry fa riferimento alle stampanti e alle fotocopiatrici che l’azienda ha venduto a due milioni di clienti a livello globale. “Si tratta di un bel pezzetto di real estate da cui partire”.

 

 

La strategia di Konica Minolta per prevenire la disruption passa da un pezzo di tecnologia che l’azienda chiama Cognitive Hub e che per ora è un grosso padellone di plastica collegato a internet che costituisce la visione dell’azienda per l’intelligenza artificiale. “Attualmente ci sono due modelli di sviluppo dell’intelligenza artificiale”, ci dice Dennis Curry. “Ci sono gli assistenti digitali come Siri e Alexa, che però funzionano solo one-to-one, con un utente singolo, e i grandi supercomputer come Watson di Ibm, che hanno enormi potenzialità per l’ambito lavorativo ma devono essere operati da personale specializzato. Noi vogliamo creare un’intelligenza artificiale che colmi questo divario, abbia l’immediatezza di Siri e la potenza di Watson”.

 

Intorno a questo hub si orientano tutti gli altri progetti innovativi di Konica Minolta, comprese alcune applicazioni della realtà aumentata, l’uso della robotica, l’internet delle cose. L’azienda si rivolge in gran parte a clienti business, per i quali progetta un “workplace of the future” in cui l’AI sarà in grado di rendere rapidi e immediati processi operativi e organizzativi complessi.

Insomma, una ex azienda di macchine fotografiche analogiche oggi azienda di stampanti vuole fare la Silicon Valley. Nel progetto c’è un sacco di ambizione che ancora deve trovare completamente sbocco, ma intanto sembra che Konica Minolta abbia capito che per sopravvivere alla disruption bisogna innovare a rotta di collo. È bene che parte di questa innovazione arrivi anche a Roma.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.