La bufala dei braccialetti di Amazon

Redazione

Il dibattito politico si è impantanato su una fake news: il brevetto del gigante tech serve per trovare i prodotti, non per monitorare i dipendenti. L'indignazione collettiva è un modo per demonizzare gli aumenti di produttività 

Il brevetto Amazon per accelerare la ricerca dei prodotti da parte dei dipendenti, che debbono identificarli in immensi magazzini, ha la forma di un bracciale elettronico, e ha scatenato la fantasia dei commentatori che, quasi unanimemente, hanno menato scandalo per la trasformazione degli uomini in robot telecomandati e telecontrollati da un padrone “grande fratello”. E’ una reazione pressoché automatica, come quella che ha portato ad assimilare gli esperimenti delle case automobilistiche tedesche alle camere a gas. Ma come i tecnici di quei laboratori non erano aguzzini di Auschwitz, così i lavoratori di Amazon non vengono affatto trasformati in burattini sottomessi a un qualche Mangiafuoco.    

 

In realtà non è la tecnologia che deve essere bloccata ma è il suo uso a dover essere controllato per garantire i diritti delle persone. Volendo, anche con il metodo attualmente in uso, quello di smartphone usati da ogni dipendente, l’azienda potrebbe identificare dove sono in ogni momento e il fatto che, sempre teoricamente, si possa fare lo stesso con i braccialetti elettronici non cambia le cose. L’azienda sostiene che con i braccialetti i dipendenti sarebbero agevolati perché resterebbero con le mani libere, ma naturalmente un’accelerazione del lavoro va a vantaggio soprattutto dell’azienda e su questo, come sull’esclusione di controlli illeciti, c’è spazio per una trattativa sindacale. E’ ragionevole chiedere che le innovazioni che producono un aumento della produttività determino una suddivisione dei vantaggi tra capitale e lavoro e che quindi portino anche a un aumento delle retribuzioni o a una riduzione dell’orario. Demonizzare invece gli incrementi di produttività derivanti dall’applicazione di nuove tecnologie in quanto tali è insensato e controproducente.

 

Ripercorrere con due secoli di ritardo la strada dei luddisti, che distruggevano le macchine tessili a vapore perché ritenute responsabili dell’aumento della produttività che andava a danno dei lavoratori, sembra davvero solo un vezzo snobistico, peraltro dal sapore reazionario.       

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