Bisogna rompere il monopolio della Silicon Valley

Eugenio Cau

Non lo dice l'Ue, ma il Wall street journal. Perché il giornale del business americano picchia duro

Roma. Non è comune che i magnati della Silicon Valley leggano il Wall Street Journal con preoccupazione. Il giornale della finanza americana ha da sempre una posizione ovviamente pro business, e da sempre difende i campioni dell’industria americana, digitale e non. Quando la temibile commissaria europea per l’antitrust Margrethe Vestager fustigava le società tech americane con multe milionarie, il Journal era sulla prima linea difensiva. Così il cappuccino di soia bio sarà andato di traverso un po’ a tutti ieri mattina a San Francisco, quando a occupare con gran rilievo tutto il taglio centrale della prima pagina del Journal hanno letto un commento intitolato: “Le ragioni per un caso di antitrust contro i giganti tecnologici americani”.

 

L’articolo, scritto da Greg Ip, sostiene che l’evoluzione di Google, Facebook, Apple e Amazon sia simile a quella dei grandi monopolisti americani di primo Novecento, come la Standard Oil di Rockfeller e la compagnia del telegrafo AT&T. Nel 1904 Standard Oil deteneva l’87 per cento del mercato degli idrocarburi raffinati come oggi Google domina l’89 per cento della ricerca online. Nel 1939 passava per AT&T il 93 per cento delle chiamate telefoniche come oggi il 95 per cento dei giovani adulti d’America usa un prodotto di Facebook. Il paragone è spaventoso per la Silicon Valley, visto che i monopoli di Standard Oil e di AT&T furono sanzionati duramente e poi smembrati dal governo americano. Per sfuggire alle accuse, la Valley usa di solito due argomenti. Anzitutto i prezzi: avremo anche quote enormi di mercato, ma gli utenti non sono penalizzati, i nostri prodotti sono gratis! In secondo luogo, la Valley si fa forza del fatto che le sue aziende sono tra le più innovative del mondo: Facebook reinveste il 21 per cento delle sue entrate in ricerca e sviluppo, Alphabet (la compagnia madre di Google) il 16, più di qualsiasi altra azienda tradizionale. In realtà, scrive Greg Ip, questo era il caso anche dei vecchi monopolisti. L’economia di scala di Standard Oil manteneva bassi i prezzi per i consumatori, e per molto tempo l’azienda produsse più brevetti innovativi di chiunque altro, prima di ottenere il dominio completo del mercato e rallentare la ricerca.

 

Insomma, il comportamento dei giganti tech non si discosta molto da quello di un monopolista tradizionale e, scrive Greg Ip, i danni già si vedono, non tanto nei costi imposti al consumatore quanto nei servizi che il consumatore non potrà usare, perché le startup che li producevano sono state soffocate dai giganti – si pensi a quello che sta succedendo a Snapchat, assassinata da Facebook.

 

Greg Ip non invoca la rottura dei monopoli tech per mano governativa, ma ci arriva molto vicino. Tra le soluzioni che propone ci sono la trasferibilità del “social graph” (significa: l’utente può uscire da Facebook portandosi dietro tutti i suoi contatti) o il divieto di acquisizione di possibili concorrenti da parte dei giganti (come Facebook con Instagram). Non sono idee nuove: circolano da tempo, con più insistenza in quest’ultimo anno di disillusione anti tecnologica, e sono state già riprese anche su queste pagine. Ma che siano trattate dal Wall Street Journal, con risalto e in prima pagina, è già di per sé una notizia. Significa che la luna di miele tra la Silicon Valley e il resto dell’America è finita per davvero, e si sta diffondendo una nuova attitudine nei confronti dei giganti tecnologici, sospinta dall’ascesa della post verità, dalla facilità con cui i terroristi islamisti hanno diffuso la loro propaganda online negli ultimi anni, dagli scandali recenti che hanno coinvolto YouTube e altri social.

 

Non siamo più nel primo Novecento, e oggi abbiamo soluzioni migliori per ovviare ai problemi dei monopoli senza devastare e smembrare le aziende. Il rapido tasso di sviluppo della tecnologia, inoltre, aumenta il rischio di obsolescenza anche per i giganti – come è successo a Microsoft, che ha perso il suo dominio assoluto senza bisogno dell’antitrust e grazie alla cara vecchia concorrenza. Ma insomma, un problema di monopolio nell’industria tecnologica c’è, è bene riconoscerlo.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.