L'iPhone è come le canzoni di Lucio Battisti

Annalena Benini

Non è soltanto la rivoluzione tecnologica, è proprio che il device inventato a Cupertino, con i suoi derivati, si è presentato sulla scena del mondo come una novità, che c’era da sempre

Le cose che amiamo ci sembra che stiano lì da sempre, non riusciamo più a immaginare un tempo in cui non esistevano. Non c’è mai stato un mondo, eppure c’è stato eccome, senza i jeans, senza i film di Woody Allen, senza Anna Karenina, senza le rotelle di liquirizia da mangiare al cinema, senza Lucio Battisti, senza la Sonata al chiaro di luna di Beethoven, senza le patatine fritte, senza le strisce di Linus e senza i Beatles. Ognuno scelga per sé un’eternità: di solito è un’eternità quando cambia qualcosa per sempre. In questa eternità per molti c’è anche l’iPhone, dal primo modello che sembrava un capriccio cool, a oggi che sono passati dieci anni e a me sembra che sia sempre esistito.

 

Per i miei figli è davvero così: nella loro memoria c’è una madre con l’iPhone in mano, una madre che perde l’iPhone, rompe l’iPhone, cerca una presa dove attaccare l’iPhone, dimentica l’iPhone nel bagno dell’aeroporto, cede l’iPhone al ristorante ai bambini anche se è sbagliato ma non le importa perché ha fame, promette l’iPhone vecchio alla figlia per l’esame di quinta elementare, scatta le foto, cerca le strade, ascolta la musica, lavora, legge, trova le chiavi anche al buio con la torcia, invoca ogni giorno più batteria, va su Google a cercare tutto quello che non sa, compra i regali di Natale al posto di Babbo Natale se è malato, prende appunti, gira i filmini alle recite, pubblica foto a tradimento su Instagram, controlla i risultati delle divisioni con i decimali, cerca un costume per carnevale e una farmacia aperta a mezzanotte, tutto con l’iPhone. Ogni volta, a ogni furto o rottura di iPhone, mi sembra impossibile avere vissuto senza, non so neanche più che faccia ho perché da quando c’è la possibilità di girare l’obiettivo della fotocamera verso se stessi, io non ho mai più posseduto uno specchio. I bambini non sanno che c’era un mondo in cui le persone e i compagni di scuola non stavano su WhatsApp, non sanno che il controllo dell’ultima data di accesso è una conquista, o una maledizione, molto recente, e che senza genitori con iPhone loro non potrebbero farsi correggere i compiti dall’ufficio, semplicemente fotografandoli, e che la funzione: trova il mio iPhone collegata ai nostri computer impedirà loro di raccontarci balle, da adolescenti, e anche da mariti e mogli, su dove sono andati dopo la scuola e dopo il lavoro. Le nonne creano gruppi di famiglia su WhatsApp, pretendono foto e informazioni sulla salute ogni venti minuti, le nipoti guardano le serie tivù direttamente su quello schermo con il vetro quasi sempre crepato, a testa in giù sul divano, e invocano più spazio, almeno sessantaquattro giga, anzi centoventotto perché la musica è pesante. Dieci anni sono diventati un’eternità, comprensiva di tutti gli altri device che si sono adeguati all’iPhone e hanno cambiato la nostra vita, anche di quelli che rifiutano l’iPhone. Puoi non indossare mai i jeans in tutta la vita, ma i jeans avranno comunque cambiato anche la tua vita.

 

Si può decidere di ignorare Facebook o Tolstoj, ma la loro esistenza si rifletterà comunque in tutte le pieghe della nostra. Non è soltanto la rivoluzione tecnologica, è proprio l’iPhone, con i suoi derivati, si è presentato sulla scena del mondo come una novità, che c’era da sempre. Come le strisce di Linus, come le canzoni di Battisti.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.