Davvero sai usare Twitter? I tormenti dei cinquantenni nella Silicon Valley

Eugenio Cau

La vera discriminazione del mondo tecnologico non si chiama razzismo né femminismo: è l’“ageism”

Roma. La Silicon Valley, sede di progresso e progressismi, lotta da tempo contro accuse di discriminazione. E’ un luogo di privilegio bianco, dicono gli attivisti afroamericani notando la scarsa percentuale di minoranze tra gli ingegneri bianchissimi e stanfordiani che passeggiano per i campus. E’ un luogo di privilegio patriarcale, denunciano le femministe notando la scarsissima presenza di donne nell’alta dirigenza tecnocratica e additando casi effettivamente scabrosi come quello di Uber, dove i manager più produttivi erano promossi anche se allungavano le mani sulle colleghe (per la cronaca: dopo che il ceo di Hp, Meg Whitman, si è detta indisponibile a sostituire il fondatore Travis Kalanick a capo dell’azienda, pare che a guidare Uber sarà di nuovo un maschio).

 

Ma la vera discriminazione del mondo tecnologico non si chiama razzismo né femminismo: è l’“ageism”, vale a dire la discriminazione nei confronti degli anziani. Sembra una follia in un paese per vecchi come l’Italia, ma nella Silicon Valley i lavoratori sopra i cinquant’anni più che come raffinate bottiglie di cognac che migliorano con il tempo sono considerati come cartoni di latte dalla scadenza troppo ravvicinata. La creatività e il dinamismo della gioventù sono preferiti all’esperienza, e questo si trasforma in forme di discriminazione praticamente inedite nel mercato del lavoro.

 

Più di una testimonianza eccellente negli ultimi tempi ha riportato alla luce il tema. Questa settimana il Financial Times ha intervistato Bob Crum, manager di 62 anni con una carriera eccellente e quarant’anni di esperienza in Hp, Sun Microsystems e Cisco. Uscito da Cisco e ancora pieno di energie, Crum ha cercato un altro lavoro nell’ambito della tecnologia ma ha scoperto ben presto che quarant’anni di esperienza non erano visti dai suoi possibili recruiter venti-trentenni come un bonus, ma come un peso. Dopo qualche mese di ricerche inutili, Crum ha rinunciato, si è dato al lavoro non profit e progetta di aprire una birreria. Di recente Chip Conley, manager 52enne che per oltre vent’anni è stato a capo di un’intera catena di hotel, è finito a lavorare ad Airbnb e ha scritto su internet che è “fondamentale comportarsi da mentore in privato e da stagista in pubblico, perché nessuno (nessuno degli ingegneri millennial che dominano il mondo tech, ndr) vuole essere criticato in un meeting da qualcuno che sembra suo padre”. Dan Lyons, autore di un libro sul tema, ha raccontato che quando a 52 anni è finito a lavorare per una startup i suoi colleghi lo chiamavano nonno. Lui era un blogger famoso in tutta America, ma loro gli dicevano: “Davvero sai usare Twitter?”.

 

Le grandi compagnie della Silicon Valley, scrive il Ft, pubblicano periodicamente report sulla proporzione di donne e minoranze nella loro forza lavoro, ma nessuno tiene conto dell’età. Avere una forza lavoro giovanissima è segno di dinamicità e i governi di tutto il mondo tendono a favorire l’assunzione di neolaureati con incentivi e sussidi. Ma nella Silicon Valley la giovinezza è diventata culto e perversione.

 

La legge americana impedisce di scrivere la propria data di nascita sui curriculum vitae per evitare discriminazioni, ma le compagnie tech hanno trovato più di un modo per assicurarsi di assumere solo giovani virgulti. Per esempio, nelle offerte di lavoro specificano le annate di laurea dei possibili candidati, o pretendono che il candidato invii il suo curriculum usando una email universitaria (solo i neolaureati, ergo i più giovani, hanno ancora l’indirizzo mail dell’università). Altri hanno sviluppato dei filtri automatici che se leggono sul curriculum esperienze lavorative risalenti a prima del 2000 scartano il candidato. Esattamente come molti giovani italiani cancellano dal curriculum master ed educazione superiore per poter essere considerati per posti di lavoro poco qualificati, i cinquanta-sessantenni nella Silicon Valley cancellano tutte le esperienze di lavoro più vecchie di quindici anni.

 

Un famoso motto di molte compagnie della Valley è: “Not your dad’s company”, che vuol dire: non siamo un’azienda vecchio stampo ingessata e formale. Ma il feticismo per l’informalità si è trasformato in feticismo per la giovinezza. Infiniti esempi hanno mostrato che senza maturità un’azienda è nei guai e che i giovani ceo hanno bisogno di vecchi mentori: Brin e Page di Google hanno avuto il loro Eric Schmidt, Zuckerberg di Facebook ha la sua Sheryl Sandberg, Apple è un’azienda degli anni 80 che ha saputo svecchiarsi. E’ ora di vedere più teste canute a San Francisco. 

 

Di più su questi argomenti:
  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.