Un'elaborazione grafica dell'HyperLoop

La Silicon Valley sta sprofondando come Venezia. Ecco perché

Manuel Peruzzo

Dall'hyperloop di Musk alla metro, che non esiste. Il luogo dell’avanguardia ha un enorme problema urbanistico. Parla chi sta ridisegnando il campus di Facebook

Milano. Facebook sta costruendo la sua Crespi D’Adda. Nella Valley però lo chiamano campus, ché dà più l’idea di un ambiente riparato post universitario dove continuare a creare ricchezza, cultura, e plasmare le nostre vite. La società ha dato notizia dell’ampliamento della sede di Menlo Park e tra le righe si legge la risposta alle principali tensioni politiche che sono cresciute insieme alle tech company: traffico, emergenza abitativa, iniquità salariale, tensioni razziali. Si legge nell’incipit: “Siamo parte di questa comunità e stare qui rende possibile la mission di connettere il mondo”. E anche perché quel qui è la zona che dal Dopoguerra a oggi ci ha dato due strumenti imprescindibili: il computer e internet.

 

Anche se per ora è solo un progetto, ha già un nome: Willow Campus, si estenderà su 125 mila metri quadri, di cui 11 mila d’uffici e 1.500 d’unità abitative. I primi isolati verranno terminati nel 2021. Sì, isolati, perché questo campus ha l’ambizione d’essere diverso da quelli che Louise A. Mozingo nel suo History of Suburban Corporate Landscape ha chiamato “Pastoral capitalism”, ovvero zone isolate, verdeggianti e sganciate dallo spazio civile. Quelle nate quando c’era terra a basso prezzo da riempire con capannoni anonimi nella verosimile ipotesi di chiudere baracca: ascesa e declino. Per capirci, negli anni Cinquanta la Bell Labs, produttore di transistor, ha generato numerosi imitatori, dal campus di IBM al recente “Spaceship” di Apple a firma di Norman Foster. Continuare a costruire edifici staccati dalle città significa aumentare la sudditanza all’auto. Facebook sembra invertire la tendenza.

 

Abbiamo chiesto a Francesco Maria Cerroni, urbanista che ha collaborato al progetto dello studio OMA di Rem Koolhaas per conto di MIC (una società italiana che si occupa di pianificazione urbana e dei trasporti), di raccontarci l’idea di città della Valley. “Lo Spaceship di Apple ha più spazio per i parcheggi che per gli uffici. Persegue un modello auto-centrico che andava di moda nel Dopoguerra, lo stesso di quelle società come AT&T che negli anni Quaranta si spostavano dalla Lower Manhattan al New Jersey in zone dove i dipendenti si affacciavano alla finestra per una vista bucolica, poi tornavano a casa, in macchina, nei quartieri residenziali. L’ironia è che lo facevano per scappare dalle città inquinate, per trovare serenità e ambiente favorevole al lavoro”.

  

Visto che ne parli: in un articolo del New York Times un’analista del think tank SPUR scrive che il modo migliore per avere un’idea di com’è fatta la Silicon Valley è rimanere intrappolati nel traffico della Highway 101 tra San Francisco e San Jose. “Sì, esatto. L’automobile è la criptonite degli urbanisti ed è uno dei due più gravi problemi a cui abbiamo cercato di dare soluzione. L’altro è l’emergenza abitativa. In media nell’ultimo anno gli abitanti della Bay Area hanno passato il 70 per cento in più nel traffico rispetto al 2010, sono SOV (single occupant vehicle) e si stima una crescita esponenziale di migliaia di dipendenti da qui a quindici anni: non è più socialmente sostenibile”. Quindi come si fa? “La soluzione al traffico è usare meno la macchina. Oppure uno rimane due ore fermo per 40 chilometri di strada. La fortuna di Facebook è di trovarsi vicino a un corridoio ferroviario inutilizzato, bisogna investire e incentivare ogni alternativa al trasporto privato (shuttle, bus, treni, piste ciclabili”. Nella Silicon Valley non hanno i treni? “La California è la quinta potenza industriale al mondo, superiore alla Francia. Però se vai in Francia hai un livello di infrastrutture che funzionano. In California l’unico treno che va nella Silicon Valley è il Caltrain, ed è da terzo mondo: in diesel”.

  

Il luogo più avanzato tecnologicamente non ha una metropolitana. “Zero. Sai quella cosa che dice Roger McNamee, un famoso investitore, che ha più campo in una barca nel Mediterraneo di alcune zone della Valley. E’ vero e vale anche per le infrastrutture. Tempo fa un articolo di Bloomberg titolava ‘Silicon Valley, dove i trasporti di massa vanno a morire’. Questo perché si finanziano progetti costosi e si trascurano idee pratiche per migliorare strutture esistenti. Poi ci sono gli interessi della governance locale che si scontrano con la governance regionale, e le piccole associazioni che rallentano tutto”. Anche lì hanno i No Tav? “E’ la patria. L’intero sistema organizzativo consente a qualsiasi associazione locale di ritardare un progetto. Considera che il team tipico delle riunioni è composto da un urbanista, il pianificatore trasporti, il paesaggista e chi si occupa di sviluppo sostenibile o community engagement, cioè gli intermediari tra comunità e progettisti”. Elon Musk, il Tony Stark della Silicon Valley, vuole costruire l’Hyperloop, un treno superveloce. “Sì e crede basti l’approvazione governativa. Ma ci sono voluti vent’anni per raggiungere un accordo per costruire un tunnel sotto l’Hudson River e collegare New York con New Jersey. L’Hyperloop è una cosa fichissima. Peccato che tra San Francisco e Los Angeles non esiste neppure la ferrovia. Tutta questa tecnica senza una pianificazione spaziale a scala regionale crea paradossi”.

  

L’economia della Bay Area è tra le più solide al mondo, si conta una crescita di 650 mila posti di lavoro tra il 2010 e il 2015. Nonostante ciò oltre al traffico ha un altro problema: mancano le case e quelle che ci sono hanno affitti alle stelle. Fino a un paio di anni fa si è assistito a una escalation di proteste culminate nel vandalismo contro i bus che trasportavano l’élite: gli ingegneri. E’ come nel resto degli Stati Uniti: se sei un’eccellenza hai ogni benefit (bus privati, wi-fi, aria condizionata) se sei mediocre (e quindi povero), ti conviene espatriare a Cuba.

  

Dal boom delle dot com negli anni Novanta i dipendenti delle società tech sono comunemente ritenuti co-responsabili del processo di gentrificazione di San Francisco e della Bay Area. Oggi un monolocale a San Francisco costa 3.370 dollari sia all’ingegnere di Google sia al professore delle superiori o all’operaio. Tutti si aspettano che a risolvere la questione politica sia chi ha mezzi, soldi e strutture. Non il governo, ma la tech élite.

  

Spiega Francesco Maria Cerroni: “Il nostro progetto è molto diverso da quello di Frank Gehry del vecchio campus. Il suo è un sistema a scatola chiusa, impermeabile, dove per accedere serve sempre il badge. Il nostro è più vicino a quello di città: flessibile, a griglia, permeabile e più ‘calpestabile’ come spazio pubblico”. Quando si parla di Silicon Valley si immagina il mitico garage della Hewlett-Packard a Palo Alto e non quello in cui vive Victor con la sua famiglia, impiegato al campus di Menlo Park, a pochi blocchi da casa sua. Il Guardian ha raccontato la sua storia, il vicino di casa di Mark Zuckerberg che serve caffè ai dipendenti Facebook non ha i soldi per pagare il dentista alla figlia. “Spero che il nuovo campus potrà risolvere anche situazioni come questa. Ci sarà una quota di social housing, un’altra quota per i dipendenti Facebook o appartamenti ad affitto breve per il consulente che deve stare per tre mesi”. Il volto buono del capitalismo. Come si evita una auto-segregazione? “Il rischio è di ricreare una filter bubble fisica. Ironicamente tutti nella Valley sono interessati alla serendipity negli uffici, e studiano l’agevolazione di interazioni sociali casuali tra dipendenti, Steve Jobs ne era ossessionato. In pratica si cerca di ricreare lo spazio pubblico in quello privato: piazze, negozi, bar dove trovi gente con i tuoi interessi. Gmail è nata così”.

  

Ne concludiamo che la Valley va a due velocità. Quella del sogno di Mark Zuckerberg di connettere il mondo e costruire una comunità; di Elon Musk che costruisce auto elettriche senza conducente e al contempo progetta viaggi interspaziali su Marte (migliorare il pianeta e poi abbandonarlo); di Brin e Page che con Google organizzano l’intero sapere del mondo e sostituiscono la nostra memoria. E quella in cui la Bay Area sta sprofondando come Venezia per l’innalzamento dell’acqua, dove gli affitti costano più che a Zurigo, che ha un sistema ferroviario inferiore a Kathmandu, e un pendolarismo come i frontalieri italiani in Svizzera. Non esattamente un luogo da salvare o in cui volersi trasferire; eppure attrae turisti, curiosi, giornalisti, investitori, ingegneri, analisti, programmatori e sognatori di tutto il mondo.

  

Rimane un’ultima domanda per la quale non abbiamo ancora una risposta. La Silicon Valley può inventare lo spazio pubblico così come ha reinventato la vita pubblica online?