Illustrazione di The Public Domain Review via Flickr

Solo i frustrati credono alle fake news

Giovanni Battistuzzi

Il governo tedesco minaccia multe fino a 50 milioni di euro ai social network per arginare la diffusione di notizie false, ma non si rende conto che la questione è un'altra. Una ricerca lo spiega

In Germania le elezioni si avvicinano, si voterà il 24 settembre, e per evitare che notizie false e tendenziose possano influenzare in qualche modo la scelta degli elettori, il governo si sta preparando per tempo. Ieri il ministro della Giustizia Heiko Maas ha presentato un progetto di legge per limitare in numero e portata la proliferazioni di fake news sui social network. Il testo, che secondo l’esecutivo va incontro alla volontà di intervento dell’Unione europea sull’argomento, mira a costringere i social network alla rimozione, in un lasso di tempo compreso fra le 24 ore (nei casi più eclatanti, come contenuti che neghino l'Olocausto) e i sette giorni (nei casi più controversi) dalla denuncia, di quei contenuti considerati falsi o incitanti all’odio. Le piattaforme dovranno inoltre nominare un responsabile della gestione dei reclami. Il mancato adeguamento alle nuove politiche provocherà una sanzione che potrà arrivare al massimo ai 5 milioni di euro per il responsabile della gestione del reclamo e i 50 milioni di euro per l'azienda. Il ministro della Giustizia ha commentato che il progetto di legge si è reso necessario in quanto i social network “non prendono abbastanza sul serio le denunce degli utenti”, spiegando che “sono troppo pochi i contenuti illegali che vengono cancellati ed è troppo lento il procedimento con cui vengono cancellati”.

 

Quanto presentato da Heiko Maas ha allarmato l’associazione per le telecomunicazioni Bitkom che al Financial Times ha espresso preoccupazione per la direzione intrapresa dal governo, facendo notare che l’obbligo di cancellare i contenuti entro le 24 ore per piattaforme sulle quali transitano fino a un miliardo di messaggi al giorno “è assolutamente inattuabile in termini operativi” e il rischio è quello di generare “un meccanismo permanente di censura”. La stessa Bitkom ha sottolineato come invece di punire pecuniariamente i social network sarebbe più indicato seguire il modello francese. In Francia Facebook ha infatti avviato una partnership con Poynter’s International Fact-Checking Network (IFCN), un network delle principali testate giornalistiche, per creare un sistema di verifica delle notizie che passano sui social network. Le fake news saranno segnalate e gli utenti verranno messi in guardia da un bollino che certifica la “non attendibilità” della notizia.

Il timore comune è che la propagazione di notizie non veritiere possa essere determinante per l’avanzata dei partiti populisti. Una preoccupazione che da quanto emerge da una ricerca del dipartimento di psicologia della Freie Universität di Berlino, è sovrastimata, anche se da non sottovalutare. Come spiega al Foglio il ricercatore Richard Hepp le “fake news hanno una propagazione elevata, ma una pervasività limitata, almeno nella capacità di far cambiare un’opinione e/o una presa di posizione già elaborata”.

 

I ricercatori hanno studiato il comportamento di circa mille persone (bilanciate per curriculum di studi, età, estrazione sociale), ponendoli di fronte a un flusso di notizie, dopo aver fatto esprimere il loro punto di vista su alcuni argomenti inerenti agli articoli e titoli presentati. Il 12 per cento non è riuscito a distinguere nel 70 per cento e oltre dei casi quali fossero le notizie vere da quelle false. Solo il 4,2 per cento ha però cambiato idea sull’argomento. La maggiore incidenza si è riscontrata nelle fasce meno istruite della popolazione. Il 39 per cento dei partecipanti alla ricerca ha avuto un margine di errore nella classificazione delle notizie compreso tra il 15 per cento e il 40 per cento, ma solo nel 3,9 per cento ha mutato la propria opinione. In questo caso però la differenza di istruzione non è stata discriminate. Gli errori di attribuzione sono stati più o meno simili per tutte le categorie di istruzione. A far commettere errori infatti più che la cultura generale è stato un’altro fattore: l’insoddisfazione personale. I soggetti che prima della ricerca si erano detti insoddisfatti o frustrati dalla loro vita lavorativa o sentimentale nel 94 per cento dei casi hanno preso come buone notizie da fonti palesemente inattendibili che contribuivano a giustificare il loro senso di frustrazione.

 

“Nel processo di elaborazione del significato di una qualsiasi notizia alla capacità di comprensione della stessa si aggiunge una componente legata alla percezione di se stessi all’interno della società”, sottolinea Hepp. “Più quest’ultima è distante dalla considerazione che si ha di se stessi, più è facile incorrere nel rischio di una lettura acritica delle notizie nella quale si escludono qualsivoglia sistema di classificazione e accertamento di quanto si legge o si apprende. In questo panorama una notizia dello Spiegel avrà la stessa importanza del blog sonotuttecavolate.com”. In questo modo le fake news “non fanno altro che animare l’insoddisfazione di gente insoddisfatta, pur non determinando un cambiamento nelle opinioni già precedentemente elaborate”.

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