Una scena di "Torna da me", puntata della seconda stagione di "Black Mirror" in cui un programma permette a una ragazza di chattare con l'avatar del suo ragazzo morto

La vita eterna dell'io digitale

Antonio Grizzuti

Chatbot che dialogano con i nostri amici, avatar che conservano pensieri e ricordi. Così social network e società private provano a farci sopravvivere dopo la morte

“È sempre dura quando muore una persona, in qualunque circostanza. Si apre un buco nel mondo. E noi dobbiamo celebrare questo lutto. Altrimenti il buco non si chiuderà più” ha scritto Haruki Murakami nel bestseller 1Q84. L’elaborazione del lutto rappresenta dalla notte dei tempi il grande cruccio dell’umanità, condannata dalla sua finitezza a compiangere quanti lasciano di volta in volta questa terra. Oggi non è solo più un problema materiale o spirituale: la modernità ci ha consegnato una terza via dell’essere che è quella digitale. Che fine fa il nostro io digitale quando il corpo muore? Le tracce che rimangono dopo il nostro trapasso possono alleviare le sofferenze di chi rimane? Domande a prima vista un po’ folli, ma che sottendono una certa logica.

 

Facebook da diverso tempo offre un servizio che permette di designare un erede, un altro utente autorizzato a gestire l’account dopo che il proprio profilo è diventato commemorativo. L’erede è in grado di compiere solo alcune azioni: scrivere un post fissato in alto nel profilo, rispondere alle richieste di amicizia e cambiare l’immagine del profilo e di copertina, mentre non può rimuovere o modificare post del passato. Google dal canto suo ha attivato un servizio, soprannominato ironicamente “Google death”, che a seguito di un periodo di inattività cancella l’account, non prima di aver avvisato uno o più contatti fidati designati a suo tempo.

 

Ma c’è chi si è spinto oltre. Eugenia Kuyda, cofondatrice della startup russa Luka, ha creato un chatbot – un software in grado di rispondere alle domande dell’utente e conversare in maniera intelligente – per permettere a chiunque volesse di dialogare con il suo migliore amico Roman Mazurenko, scomparso prematuramente in un incidente automobilistico. Per popolare i bot Kuyda ha attinto alle conversazioni Telegram con Roman; da qui l’idea di creare Replika, un assistente personale basato sull’intelligenza artificiale che assimila ricordi e tratti della nostra personalità semplicemente chattando con noi. Al momento il progetto è in fase di test ma è previsto un lancio pubblico nel corso dell’anno.

 

Sebbene l’esperimento del chatbot risulti riuscito solo in parte – le conversazioni virano a volte verso il nonsense – gli interrogativi che esso pone sono piuttosto seri e gli scenari che apre del tutto inediti. Fino ad oggi la commemorazione dei defunti era affidata alla memoria dei vivi, o tutt’al più a qualche scatolone di cimeli. Nella nostra era digitale c’è chi crede sia possibile preservare il ricordo digitale grazie ad una sorta di backup. Il primo passo è mettere insieme quante più informazioni possibili. Hossein Rahnama della Ryerson University sta studiando come mettere a punto dei chatbot a partire dai dati personali: “da qui a sessant’anni i giovani di oggi avranno raccolto uno zettabyte (un miliardo di gigabyte) di dati, esattamente quanto serve per creare una versione digitale di sé”. Negli ultimi anni sono comparsi sul web svariati siti che vanno in questa direzione. Eter9 è un social network basato sull’intelligenza artificiale e mirato alla formazione di una “controparte”, un sé virtuale che ricava e immagazzina le informazioni a partire dai post e dalle immagini che pubblichiamo. Analogamente, eterni.me è un servizio web ad inviti che promette di conservare pensieri, storie e ricordi attraverso la creazione di un avatar digitale.

 

Gli esperti nell’elaborazione del lutto suggeriscono che queste nuove modalità di approccio alla morte possano favorire un distacco più soft dal caro estinto. L’incapacità di cedere all’idea di aver perduto qualcuno per sempre è un tratto profondamente umano, ma l’idea di resurrezione digitale è disturbante. D’altro canto, se è vero che l’istinto di sopravvivenza nell’uomo assume forme sorprendenti, la pretesa di immortalità veicolata da una sequenza di codice binaria è più che dubbia.

 

Morte, dov’è la tua vittoria? è un interrogativo che attanaglia da secoli l’umanità, speriamo solamente di non dover spulciare tra le righe di codice per trovare la risposta.

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