Travis Kalanick (foto LaPresse)

House of cars. Perché nelle prossime ore il ceo di Uber potrebbe essere dimissionato

Michele Masneri

Sesso, orge, soldi. Dopo le accuse che hanno portato al licenziamento di 20 dipendenti dell’azienda californiana negli ultimi giorni, tutti si eccitano per i lati pruriginosi della vicenda. Eccoli

San Francisco. Mai come oggi il titolo della rubrica è intonato al suo contenuto. Si aspetta nelle prossime ore la notizia-bomba cioè l’estromissione di Travis Kalanick da ceo dell’azienda, perché il fondatore di Uber è dato dimissionario (o almeno si prenderà una pausa), dopo le varie accuse che hanno portato al licenziamento di 20 dipendenti dell’azienda californiana negli ultimi giorni, quelle di molestie lanciate dalla ex dipendente Susan Fowler, e le malversazioni nei confronti della polizia e dei concorrenti con veri e propri radar su cui indaga il dipartimento di Giustizia.

 

Ma quello che eccita di più le folle è naturalmente il lato pruriginoso. Nella Uber-telenovela, ormai meglio di House of Cards per manipolazioni e suspence e leaks, il sito ReCode ha sminuzzato e pubblicato il contenuto dell’e-mail compromettente che nel 2013 per un viaggio aziendale il ceo ha mandato a 400 collaboratori, con pratiche istruzioni su tutto. Già celebre come “la mail di Miami”, contrassegnata con un ideogramma cinese che significa “segreta”, l’equivalente del “classified” per le norme aziendali Uber, contiene regole e consigli per celebrare lo sbarco dell’azienda nella cinquantesima città, cioè Miami, con entusiasmo magari non signorile ma innocuo: “have a great fucking time”, consiglia, ai cari inferiori, come quei cumenda di questi classici ritrovi tra colleghi e dirigenti dove tutti devono divertirsi o almeno far finta. “Dobbiamo festeggiare!” ordina padronalmente Kalanick e dà molte istruzioni tra cui non parlare per nessun motivo con la stampa, non vomitare in albergo (multa da 20 dollari da pagare ai superiori), attenzione al traffico locale (“fa cagare”).

 

Ma ovviamente il contenuto più interessante è quello che riguarda il lenzuolo: “non fate sesso con altri dipendenti” scrive l’amministratore delegato – “A MENO CHE non glielo abbiate chiesto e abbiano risposto con un enfatico SI, VOGLIO FARE SESSO CON TE” (le maiuscole sono originali). E poi, continua la mail padronale, è “vietato comunque fare sesso se i due - o più – dipendenti interessati lavorano nello stesso team”. Consigli insomma di buon senso, anche in caso di orge aziendali, scegliere diverse divisioni; il cumenda 2.0 specifica poi che lui si sacrificherà per il buon nome dell’azienda. Scrive infatti che “andrà in bianco a 'sto giro”, e poi segue hashtag #ceolife #FML cioè fuck my life, una vitaccia, quella da amministratore delegato. Insomma questa dovrebbe essere la pietra dello scandalo, quella che inchioda finalmente Kalanick al suo tribalismo politicamente scorretto; mentre sembrano piuttosto raccomandazioni da Filini al capodanno della Megaditta. Ma ormai Uber e il suo fondatore sono entrati nella classica tempesta perfetta (un’altra tempesta, poveretto, ha fatto fuori sua madre la settimana scorsa in un naufragio, in California).

 

Anche i Kalanick files, ogni volta che vengono fuori, se vagliati filologicamente in realtà sembrano favorevoli al suo autore: l’altra pistola fumante è il video di un autista che secondo la morale collettiva sarebbe stato maltrattato da Kalanick, a Los Angeles. L’autista, che poi ha mandato il video ai giornali, aveva intercettato Kalanick con due ragazze e continuava a importunarlo accusandolo di avergli fatto perdere “97 mila dollari” e di avergli rovinato la vita; perché l’autista medesimo s’era comprato una macchina a debito pensando di fare i gran soldi con Uber, mancando forse di acume finanziario e preveggenza. E Kalanick, invece che mandarlo a quel paese, gli aveva detto che forse non era stata una buona idea, e che lamentarsi non avrebbe migliorato le cose. C’è poi il caso del karaoke con le strip tease, altra vicenda in cui Kalanick fu accusato di machismo: nel 2014, altro viaggio aziendale, dissero che andò in un karaoke un po’ sporcaccione in Corea, ma poi saltò fuori che c’era pure la fidanzata (violinista, all’epoca). Insomma, Kalanick il ruspante sembra un po’ la vittima sacrificale di tutta una temperie da moralismo democristiano alla Oscar Luigi Scalfaro. Vedremo nelle prossime ore se lo dimissioneranno. Di certo lo stanno distraendo molto dal vero problema della sua azienda: che continua a non fare un soldo di utili.

 

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