Il ceo di Apple, Tim Cook, durante l'evento di lunedì (foto LaPresse)

Perché l'assistente digitale di Apple è il più stupido di tutti

Eugenio Cau

La casa di Cupertino aveva un vantaggio sulla concorrenza ma l'ha fatto sfumare. Oggi Siri funziona peggio dei rivali, e c'è un motivo

I critici di Apple dicono sempre che la casa della mela ha un approccio predatorio all’innovazione: non crea niente di radicalmente nuovo, ma perfeziona a tal punto l’esistente fino a renderlo il nuovo standard. Ci sono innumerevoli esempi. L’Apple Watch è arrivato a qualche anno dalla diffusione sul mercato dei primi smartwatch. Steve Jobs derideva i produttori di tablet con il pennino, ma pochi anni dopo la stessa Apple ha prodotto il miglior pennino in circolazione. Perfino il prodotto Apple più celebre della storia, l’iPhone, non è un’invenzione nata da zero: gli smartphone esistevano già, ma Apple ha portato un concetto grezzo alla perfezione.

  

I casi in cui Apple è stata pioniera si contano sulle dita di una mano. Il più importante di tutti è Siri. Apple presentò l’assistente virtuale dell’iPhone nel 2011, anni prima di qualunque rivale. Per il tempo Siri era un prodotto all’avanguardia. Rispondeva con una certa precisione alle richieste dell’utente, trasformava in scrittura le parole dettate, fissava gli impegni sul calendario. Ma dopo il lancio in grande stile, per qualche ragione Apple si è accontentata del successo iniziale. Ha concentrato le sue forze di ricerca e sviluppo sui suoi prodotti di punta, l’iPhone gli iPad e i Mac, e ha lasciato che Siri rimanesse un gadget, un accessorio interessante dentro al più importante iPhone.

 

 

Nel frattempo però la concorrenza si è svegliata. Alla fine del 2014 Amazon ha presentato Alexa, un’intelligenza artificiale contenuta in un device da tenere in casa e capace di fare molte più cose di Siri, come controllare gli elementi connessi della casa e rispondere a domande più complesse. Non solo: Alexa capiva meglio le domande e rispondeva con più precisione. Nel frattempo anche Google sviluppava il proprio assistente, e il risultato era lo stesso: più preciso, più efficiente, capace di fare più cose rispetto a Siri.

 

Il Wall Street Journal oggi ha pubblicato un lungo articolo che racconta con interviste e particolari inediti come sia stato possibile che Apple sia rimasta indietro in una delle poche tecnologie in cui era avanti sugli altri. Tra le spiegazioni più pratiche ci sono errori di management e una cattiva gestione delle risorse.

 

La cultura orientata sull’hardware (vale a dire: sull’iPhone) ha messo in secondo piano lo sviluppo di un progetto come Siri, ma non solo. Per sviluppare un’intelligenza artificiale come si deve servono anzitutto montagne di dati degli utenti. Questo significa misure sulla privacy lasche per poter usare i dati e un approccio al business tutto diverso rispetto a quello di Apple, che fa dell’attenzione alla privacy e al rispetto dei dati degli utenti uno dei suoi punti forti.

 

Il problema, scrive il Wall Street Journal, è che nel frattempo la vera gara per il dominio tecnologico è passata dagli smartphone ben disegnati alle intelligenze artificiali, e Apple si è trovata a fare in salita una corsa che aveva iniziato per prima. Su un test di 5.000 domande, Siri risponde in maniera corretta solo al 62 per cento, contro il 90 abbondante degli assistenti di Google e Amazon.

 

Questa settimana Apple ha presentato il suo assistente domestico con casse hi-fi e dentro Siri. E’ un prodotto simile a quello che Amazon ha presentato nel 2014, ma più raffinato, come da tradizione.

  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.