Marc Zuckerberg (foto LaPresse)

La Silicon Valley ancora non ha risolto il problema delle notizie false

Eugenio Cau

Zuckerberg si tormenta, Google propone nuove soluzioni, Wikipedia fa un giornale. Il tema della responsabilità

Roma. Nel lungo profilo pubblicato questa settimana come articolo di copertina del magazine del New York Times, il creatore di Facebook, Mark Zuckerberg, appare come un uomo tormentato e in evoluzione. Dapprima, all’inizio di gennaio, si fa intervistare da Farhad Manjoo, columnist tecnologico del New York Times, sul tema delle notizie false e del ruolo di Facebook nella grande campagna di disinformazione che è culminata nelle elezioni americane della fine dell’anno scorso. Lo “scandalo delle notizie false” era appena esploso, la Silicon Valley si doveva ancora riprendere dal trauma di Donald Trump, e la linea difensiva di Zuck era: negare tutto. Con risposte sicure e prefabbricate, Zuck sentenzia che il problema non esiste e se esiste è marginale, e rimanda a casa i cronisti. Un mese dopo, un addetto stampa richiama Manjoo: Zuckerberg vuole rivedervi, potreste venire lunedì pomeriggio? A quel punto, il ceo è tutto diverso: più insicuro, pensa a lungo prima di rispondere. Facebook era stato colpito da una polemica via l’altra, compresa la censura, poi ritirata, della celebre foto della bimba vietnamita che scappa dal napalm durante la guerra. A un certo punto il fondatore di Facebook ammette perfino che il problema era diventato così grave che lui ha cercato il consiglio niente di meno che di Barack Obama. Di lì a poco, a fine febbraio, Zuck avrebbe pubblicato il lungo manifesto con cui avrebbe ammesso l’errore di perseguire la connettività a ogni costo e annunciato nuovi provvedimenti contro le notizie false che si propalavano sul suo social network.

 

Dopo mesi
di segnalazioni allarmate, Google
ha annunciato
che cercherà
di risolvere il sistema
di suggerimenti
delle ricerche popolari per cui quando
uno cercava "are jews", il meccanismo automatico completava la ricerca con "…evil".
Le telefonate del ceo
di Facebook
con Barack Obama

Il cambiamento del primo e del secondo Zuck è paradigmatico, e vale per tutta la Silicon Valley. Il problema delle fake news, per quanto circoscritto e contestabile, è stato una specie di sveglia per l’aristocrazia tech americana. Accusati dai media che fino a quel momento li avevano riveriti e traditi dalla politica, i grandi tecnocrati di Facebook, Google e Apple hanno iniziato a capire che era finito il tempo di vivere al di sopra delle proprie responsabilità pubbliche. Il caso di Uber, un altro beniamino tecnologico quasi distrutto negli ultimi mesi dai comportamenti scorretti del suo fondatore, è ugualmente rivelatore: il tempo in cui alla Silicon Valley si perdona tutto è finito. Farhad Manjoo sostiene che Facebook è vicino a diventare “la più influente fonte di informazione della storia della civiltà”. Google segue a ruota. Apple, Microsoft e Amazon hanno un’influenza diversa ma comunque senza precedenti. Nonostante questo, la Silicon Valley ha sempre rifiutato qualsivoglia responsabilità – politica, editoriale, sociale – per le rivoluzioni che ha portato nelle nostre vite. Le cose hanno iniziato a cambiare solo di recente.

 

Oggi Google ha annunciato un grosso cambiamento al suo algoritmo di ricerca su internet pensato apposta per limitare il problema delle notizie false e “di bassa qualità”, come dice la compagnia. Google sostiene di aver fatto in modo che nel posizionamento dei risultati di ricerca i risultati provenienti da fonti autorevoli siano avvantaggiati rispetto ai risultati di minore qualità editoriale. Pochi mesi fa, creò scandalo il fatto che alla ricerca “was the holocaust fake” la maggior parte dei primi risultati confermasse che sì, l’Olocausto è stato uno scherzo. Google ha lavorato sul suo algoritmo per evitare che questo tipo di risultati esca per primo. Ha inoltre aggiunto – dopo mesi di segnalazioni allarmate – un sistema di valutazione del meccanismo che completa automaticamente le ricerche con termini popolari ma spesso offensivi. Per esempio, se qualcuno cerca “are jews”, Google completa la frase con “…evil”. Gli utenti potranno segnalare a Google se i suggerimenti sono pertinenti, offensivi o osceni. Google ha presentato la novità come una modifica importante, ed effettivamente i cambiamenti ad ampio raggio dell’algoritmo di ricerca sono rari.

 

Anche Facebook, contestualmente all’articolone del New York Times magazine, ha annunciato che sta sperimentando un sistema per cercare di rendere i propri utenti più obiettivi e aperti a punti di vista differenti, e farli uscire dalla “bolla” informativa che spesso è provocata dai social network: tutte le volte che un utente clicca su un link, Facebook proporrà delle letture correlate con tagli e punti di vista diversi rispetto all’articolo di partenza, per evitare che il lettore si concentri solo su un’idea senza esplorare delle possibili alternative. Il metodo potrebbe risultare efficace, ma tutto dipende, ovviamente, dal modo in cui Facebook sceglierà le alternative.

 

Poi c’è Jimmy Wales, il fondatore di Wikipedia, che ha annunciato un nuovo progetto editoriale contro le fake news. Si chiama Wikitribune ed è un nuovo giornale online in cui dei giornalisti professionisti scriveranno le notizie, mentre un gruppo di volontari farà un controllo anti fake news e verificherà fonti e toni dell’articolo. Anche Twitter ha imputato parte dei suoi buoni risultati trimestrali alla sua rinnovata capacità di ridurre i troll e gli abusi online.

 

Una prova di maturità

Tutta la Silicon Valley si arrovella in questo momento sul problema delle notizie false. Non solo perché il problema è importante (il direttore del Washington Post, Marty Baron, l’ha definito questa settimana “la più grande sfida per l’industria dell’informazione”), ma anche perché la Valley ha bisogno di dare ai suoi utenti sfiduciati una prova di maturità.

 

Il tormento di Zuckerberg è lo stesso di tutta una generazione di miliardari ragazzini che ha creato una serie di strumenti capaci di cambiare il mondo, ma si è accorta solo adesso che forse la direzione potrebbe essere sbagliata. Alla fine, una soluzione al problema delle notizie false arriverà. Ancora però nessuno ha capito come risolvere il problema più generale, quello della responsabilità.

  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.