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È digitale, ma si paga lo stesso

Redazione

Forse è arrivato il momento: anche l’online è sostenibile, dice il Nyt

E se fosse arrivato il momento che tutti i produttori di contenuti online hanno atteso per circa due decenni, attraversando nel frattempo un lungo deserto fatto di ristrettezze economiche, tagli, prediche paragrilline su come “siete tutti morti”? Il momento di cui parliamo è quello in cui la marea del tutto-gratis-su-internet, iniziata ai tempi pionieristici di Napster, inizia finalmente a ritirarsi per lasciare spazio a un concetto così lineare che è impossibile capire come mai non sia entrato prima nella testa di tutti: se qualcuno ti offre un contenuto o un prodotto, quel prodotto si paga, anche se è su internet. Ad annunciare la svolta storica, con tutte le cautele del caso, ché per ora si tratta più che altro di qualche dato favorevole e di percezioni ancora da verificare sul lungo periodo, è il columnist tecnologico del New York Times, Farhad Manjoo, che lo dice chiaro: “Negli ultimi anni, e con intensità crescente negli ultimi 12 mesi, la gente ha iniziato a pagare per i contenuti online”. Il discorso di Manjoo è funzionale alla retorica trionfalistica del suo giornale, che nonostante gli attacchi trumpiani (o forse proprio grazie a essi) ha fatto il boom degli abbonamenti, in gran parte digitali – lo stesso vale per il Washington Post e altri. Ma a mettere insieme i numeri la proposta di Manjoo sembra comunque sensata, e il quadro, se non roseo, è meno apocalittico rispetto a poco tempo fa. L’industria musicale, un tempo vicina al collasso, vede con speranza le decine di milioni di abbonamenti paganti siglati da Spotify (50 milioni) e simili. Lo stesso vale per Netflix e le sue sorelle nell’ambito dell’entertainment video. I pagamenti sull’App store di Apple sono aumentati del 74 per cento su base annuale. Sistemi di mecenatismo digitale come Patreon consentono agli artisti indipendenti di avere una sicurezza economica e stanno avendo un successo insospettabile. Ci sono voluti vent’anni ma forse ce l’abbiamo fatta: anche online, il lavoro si paga.

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