Tra i “disclaimer” di Facebook e le “snippet” di Google, le bufale online sembrano inarrestabili

Andrea Nepori

Il social network attiva il suo sistema di riconoscimento delle fake news, ma per ora c’è solo un risultato nella gran marea di falsi. L’assistente intelligente di Google recita teorie del complotto a sua insaputa

Il sistema di controllo delle fake news di Facebook, attivo in America da venerdì scorso, ha fatto la prima vittima. E’ un articolo secondo cui le recenti fughe di notizie sul presidente Trump e sul suo entourage sono dovute alla scarsa sicurezza del suo telefono Android. Il sito internet che l’ha pubblicato, il Seattle Tribune, si autodefinisce “pubblicazione web satirica”, anche se dalla pagina della notizia non si intuisce alcuna goliardia: la notizia sembra confezionata ad hoc per sembrare legittima e favorire gli share. Sul social network la storia si può ancora condividere, ma nel box del titolo compaiono un triangolino rosso con un punto esclamativo e la scritta “Contestata da Snopes and Politifact”. 

 

Sono i due organi di debunking indipendenti cui Facebook ha affidato il compito di soppesare la veridicità dei contenuti condivisi dagli utenti, nel tentativo di eludere il proprio ruolo di media company e sfuggire alle implicazioni politiche che ciò comporterebbe.

 
Il sistema di controllo è andato a segno, insomma, ma i dubbi rimangono. Intanto viene da chiedersi perché nel mare magnum delle notizie false di stampo razzista e xenofobo che ha spinto la campagna di Trump il sistema antibufale abbia pescato un pesce così piccolo. Poi c’è l’aspetto della limitazione geografica: il bollino rosso appare solo nelle bacheche degli utenti Facebook americani, mentre nel resto del mondo la notizia si può condividere senza alcun avviso. Infine è lecito rimanere scettici sull’approccio: il controllo editoriale dei debunker è forse l’unica soluzione, ma come farà una squadra di fact-checker a passare al setaccio tutta la fuffa che ogni giorno si riversa sui social network?

 

A Facebook va riconosciuta, per una volta, l’ammissione implicita dell’inadeguatezza della panacea algoritmica: per scovare le fake news ci vogliono gli umani. Sarà come svuotare il mare col secchiello, ma è la posizione filosofica che conta. I limiti degli algoritmi, le evanescenti divinità laiche della Silicon Valley, si sono palesati nel frattempo anche a Mountain View. Il reporter della BBC Rory Cellan-Jones ha diffuso un video su Twitter in cui conversa con il suo Google Home, l’hub intelligente per la domotica: “Ok Google: Obama sta preparando un colpo di stato?”. La risposta dell’Assistant, l’intelligenza artificiale che anima il dispositivo, è sorprendente: “Secondo dettagli rivelati dal video esclusivo del Western Center for Journalism, non solo Obama potrebbe avere legami coi comunisti cinesi, ma starebbe lavorando a un colpo di stato comunista alla fine del suo mandato nel 2016”.

 

 

Nessun complotto. La colpa è delle “snippet” di Google Search, pezzetti di informazione che il motore di ricerca raccoglie in automatico e riassume in un riquadro in alto nella pagina dei risultati di ricerca. Nel tentativo di offrire risposte rapide e sintetiche alle domande degli utenti, Google si fida del proprio algoritmo ma dimentica di verificare la veridicità delle notizie ascese alla prima posizione.

 

ll povero Assistant di Google Home si fida delle snippet, come uno studente somaro che all’interrogazione si ritrova in tasca i foglietti sbagliati, e finisce per mentire con inquietante sicumera. I giornalisti di The Outline, in un articolo che mette a nudo i limiti del sistema, si sono divertiti a scoprire altre “verità alternative”. Per le snippet della versione americana di Google Search almeno almeno cinque presidenti americani hanno fatto parte del KKK (ma non c’è alcuna prova), i dinosauri sono un’invenzione anti creazionista e Obama è il re d’America (un’informazione sintetizzata prima da un pezzo di Breitbart e ora, in un loop infernale, da un articolo che smentiva il precedente).

 

Ma c’è ancora qualche speranza. Alla domanda se i vaccini provochino l’autismo, Google risponde di no. Interrogato sulla possibilità di fondere l’acciaio con il cherosene, il motore risponde con un articolo di Popular Mechanics che smonta i complotti sull’undici settembre. E se si domanda infine “perché i camion dei pompieri sono rossi” la risposta è una famosa battuta surreale dei Monty Python. L’ironia, forse, ci salverà.

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