Mark Zuckerberg (foto LaPresse)

Così su Facebook possono convivere “liberal bias” e bufale trumpiane

Eugenio Cau

Dal giorno in cui Donald Trump ha vinto le elezioni presidenziali americane, Mark Zuckerberg è sotto assedio. Il ceo è accusato, specie dai media liberal, di aver chiuso un occhio sulla diffusione capillare di notizie false e di tendenza trumpiana sul suo social network.

Roma. Dal giorno in cui Donald Trump ha vinto le elezioni presidenziali americane, Mark Zuckerberg è sotto assedio. Il ceo di Facebook è accusato, specie dai media liberal, di aver chiuso un occhio sulla diffusione capillare di notizie false e di tendenza trumpiana sul suo social network, che avrebbero così snaturato la percezione dei candidati, annullato la copertura dei media mainstream e alla fine stravolto il risultato delle elezioni. Nell’ultima settimana il dibattito è stato intenso, in alcuni casi violento, e ha costretto Zuck a intervenire due volte per placare gli animi. Il ceo è stato bastonato su quella stessa stampa che di solito gli riserva un trattamento da re, e secondo i giornali americani lo scontro è molto aperto anche all’interno del social network. L’accusa, riassunta, è che Facebook avrebbe consentito il proliferare indisturbato di notizie false e architettate per ingannare il giudizio del lettore con titoli e fatti bombastici (come per esempio quella secondo cui Hillary Clinton sarebbe stata coinvolta in un torbido caso di omicidio-suicidio, o il falso endorsement di Papa Francesco all’ex candidato repubblicano), e che la cosiddetta bolla d’interesse, quel meccanismo per cui l’algoritmo di Facebook ci fa vedere solo le cose che rispecchiano i nostri gusti, avrebbe consentito il diffondersi di bufale fra utenti particolarmente portati a credervi. La predominanza di notizie false pro Trump è data invece da due fattori: la forza del fronte populista in questo campo e il fatto che l’ex candidato repubblicano ha suscitato un interesse in alcuni casi venti volte maggiore rispetto alla democratica. Più interesse significa più clic e dunque più entrate pubblicitarie.

 

 

Zuck è così contestato che secondo BuzzFeed alcuni impiegati scontenti hanno creato una task force segreta per aggredire la piaga delle notizie false dall’interno. Al tempo stesso, martedì Facebook ha annunciato che taglierà gli introiti pubblicitari delle pagine che propalano bufale, ma l’annuncio ha causato una doppia ripercussione: ha smentito le parole di Zuckerberg, che aveva definito il problema come impercettibile perché le bufale erano meno dell’uno per cento dei contenuti diffusi sul social, ed è arrivato a poche ore da un annuncio identico di Google, cosa che ha fatto sospettare che Facebook sia semplicemente andato a traino per non perdere la faccia. Facebook dunque è sotto accusa di trumpismo. Ma non era sempre Facebook che qualche mese fa era accusato di coltivare un insopportabile “liberal bias”, un pregiudizio contro le notizie di taglio conservatore nella sezione americana dei “Trending topics”? E come si può accusare i social network e le compagnie della Silicon Valley di aver favorito l’ascesa di Trump, quando i tecnocrati americani sono ideologicamente e culturalmente agli antipodi rispetto al presidente eletto?

Quello che è certo è che Facebook non ha fatto vincere Trump. E’ stato un fattore importante delle elezioni, ma per ora è impossibile sapere quale parte abbia favorito. Il problema delle notizie false però esiste, così come la percezione di un bias liberal. Il fatto è che questi problemi non esistono a causa di Zuckerberg ma malgrado Zuckerberg: è l’eccesso definitivo della disintermediazione.

Immaginate che Uber, la app di macchine con autista, in questi anni non abbia disintermediato con successo solo i taxi, ma anche i semafori, i vigili urbani e la manutenzione delle strade. Cosa succederebbe al trasporto umano, al traffico stradale? Sarebbe un disastro. Questo è ciò che Facebook e i social network hanno fatto con il discorso pubblico. Facebook ha disintermediato la voce di quelli che erano, a torto o a ragione, i detentori tradizionali della verità: i media mainstream, i politici, gli esperti, i professori universitari. L’accesso non mediato alle informazioni non è un problema, e la capacità di Facebook di creare un sistema di connessioni politiche è stato elogiato già ai tempi dell’elezione di Barack Obama nel 2008. Adesso il medesimo sistema si rivolta contro gli obamiani, ma con una differenza: a essere disintermediata è la verità stessa.

Così Facebook diventa quel posto in cui possono esistere contemporaneamente un bias che “premia” notizie e opinioni liberal e una propensione alla menzogna trumpiana senza che questo costituisca un paradosso. E’ il mondo senza gatekeeper, senza guardiani al cancello della verità, che è già strabordato anni fa nella vita reale. I guardiani tradizionali, ormai, non possono farci niente, e quelli che potrebbero non ne hanno interesse.

  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.