Test sui nuovi Samsung Galaxy Note 7 (foto LaPresse)

Altro che batteria, il problema di Samsung è la Grande successione

Giulia Pompili
Dopo un periodo di crisi, la Samsung Electronics era riuscita a eguagliare la Apple in termini di innovazione e qualità dei prodotti. Ma quello delle batterie è un incidente di percorso.

Roma. Si dice che chi inventerà la batteria perfetta – capace di immagazzinare sufficiente potenza, di durare abbastanza – sarà in grado di rivoluzionare il mondo. E mentre si cerca il sacro Graal della tecnologia, gli incidenti di percorso esistono. Può succedere, per esempio, che la Samsung abbia sbagliato qualcosa con le batterie dei Galaxy Note 7, e quindi essere costretta a fermarne la produzione. Una bella sfiga, considerato che il provvedimento arriva dopo una lunga sospensione fatta di batterie che prendevano quasi fuoco, cabine di aerei in emergenza e smartphone sostituiti in mezzo mondo. Dopo un periodo di crisi, la Samsung Electronics era riuscita a eguagliare la Apple in termini di innovazione e qualità dei prodotti. Ma quello delle batterie è un incidente di percorso.

 

La Samsung continuerà a essere uno dei conglomerati più grandi del mondo, il più grande della Corea del sud, protagonista del Miracolo del fiume Han che caratterizzò la parte meridionale della penisola dopo la Guerra del 1950-’53. Un ruolo che giustifica pure la sua influenza sulle politiche industriali nazionali del governo di Seul. La Samsung rappresenta la Dinasty perfetta, il chaebol per eccellenza, e lo spiega bene Andrea Goldstein nel suo libro “Il miracolo coreano” (Il Mulino): i grandi conglomerati “a conduzione familiare” hanno di fatto costruito il business coreano e lanciato la Corea del sud tra le grandi economie della terra. Alla prova del tempo, però, come nelle migliori telenovelas – e come già accaduto in Italia – il problema è sempre la famiglia, i figli, e gli eredi. Il vero problema di Samsung non è la batteria del Galaxy Note 7, infatti, ma Lee Kun-hee. O meglio: la Grande successione.

 



Singapore, durante un test s'incendia la batteria di uno smartphone Samsung (foto laPresse)


 

Nel 1938 Lee Byung-chul aveva ventotto anni. Era figlio di una famiglia di proprietari terrieri della contea di Uiryeong, nel sud della Corea rurale. I Lee erano ricchi, e Byung-chul ebbe la possibilità di studiare alla Waseda di Tokyo, ancora oggi una delle università più prestigiose del mondo. Prima di completare gli studi dovette tornare a Gyeongnam, per sbrigare gli affari di famiglia dopo la morte del padre. Con i soldi dell’eredità fondò un’azienda agricola per la produzione del riso, che non funzionò. Nel marzo del 1938 Lee fondò la società “Tre stelle” (questo significa letteralmente la parola “Samsung”) provando la via della distribuzione. Nel 1947 la Samsung, nel pieno del successo, fu trasferita a Seul, e poi a Pusan, durante l’occupazione nordcoreana della capitale, dove Lee diversificò il business. Quando arrivò al governo il generale Park (padre dell’attuale presidente), l’ordine fu quello di proteggere i grandi gruppi industriali e far ripartire l’economia. Così accadde. Quando Lee Byung-chul morì nel 1987, la Corea del sud perse una specie di padre della patria. Al suo posto, a capo dell’impero Samsung, salì il primogenito maschio: Lee Kun-hee.

 

Il boss della Samsung, che attualmente è ancora uno degli uomini più ricchi della Corea e il più famoso nel mondo dopo Ban Ki Moon, è considerato da tutti i coreani un uomo di grande carisma, che nel tempo è riuscito a costruire una fitta rete di relazioni sia politiche sia nel mondo dei media. Ha pure avuto una vita piuttosto tormentata: accusato di frode fiscale e corruzione nel 2008, è stato costretto a dimettersi per un paio di anni. E’ tornato a capo del chaebol quando il presidente Lee Myung-bak nel 2008 gli ha concesso la grazia. La scorsa estate è stato coinvolto in uno scandalo sessuale, quando NewsTapa ha pubblicato i resoconti di 5 video, registrati illegalmente, che ritraevano Kun-hee tra la fine del 2011 e il 2013, in una stanza di proprietà della Samsung, in compagnia di due donne pagate 4,400 dollari l’una. Nel 2014, dopo un attacco di cuore, è iniziato il walzer della successione: favorito è naturalmente il figlio Jay Lee, che non ha ancora cinquant’anni ed è già un businessman apprezzato, con profondi legami con il vicino Giappone ed è attualmente il vicedirettore della Samsung Electronics. Lo chiamano “l’erede al trono”.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.