Macché malato terminale: il giornalismo in Italia ha un futuro

Giovanni Battistuzzi
Le vendite dei giornali cartacei sono in calo, ma dall'online buone notizie per le testate italiane: aumentano gli abbonati e si sta iniziando a delineare una nuova forma di modello economico che inizia a ingranare. Cosa dice il Digital News Report del Reuters Institute.

Da anni si annuncia la scomparsa dei giornali e del metodo tradizionale del fare giornalismo. Fin dal 1999, quando si era in piena bolla delle dot-com e la carta sembrava un vetusto retaggio di un'epoca passata, tanto che diversi teorici americani della nuova informazione avevano dato un ventennio di vita a questo mestiere. Poi la bolla è scoppiata, internet e il web hanno subìto almeno un cambiamento non previsto allora e i giornali ci sono ancora. Come ci sono ancora le grandi testate giornalistiche, che vendono meno carta, ma che hanno trasferito il loro peso e la loro influenza sul web. E che soprattutto stanno iniziando a trovare un modello economico che inizia a ingranare. Merito di un processo di adeguamento lento ma costante, certo, merito però soprattutto di alcuni cambiamenti di abitudini dei lettori. Questo almeno emerge dal Digital News Report del Reuters Institute.

 


 


 

A essere cambiato, almeno in Italia e almeno nell'ultimo lustro, è la maggior disponibilità dei lettori ad abbonarsi ai contenuti online. Il rapporto evidenzia come il 16 per cento degli intervistati ha acquistato un abbonamento per superare il paywall. Una percentuale in costante aumento se si pensa che un anno fa a pagare per contenuti digitali era il 12 per cento (dati Reuters Institute), mentre cinque anni fa solo il 3 per cento (dati Istat).

 

 

Il caso italiano è un'eccezione notevole – solo Norvegia (27 per cento), Polonia e Svezia (20 per cento) hanno una percentuale maggiore di lettori (tra gli intervistati) che anno stipulato un abbonamento negli ultimi dodici mesi. Gli altri paesi (26 in totale) monitorati, ossia le 26 economie mondiali più evolute, seguono a una certa distanza. Soprattutto quelli di lingua inglese (solo l'Australia raggiunge il 10 per cento) faticano ad attirare abbonati e i tentativi di paywall sinora portati avanti sono stati quasi sempre un fallimento. Il problema secondo il rapporto è nella "forte concorrenza globale" che offre informazione gratuita, spesso non di qualità elevata, ma capace in ogni caso di soddisfare l'esigenza di un pubblico che alla fedeltà a una testata preferisce la gratuità. Secondo una ricerca della facoltà di psicologia di Boston uno dei fattori della differente propensione all'abbonamento dei lettori è, oltre a quello linguistico, quello affettivo. La tendenza all'abbonarsi è infatti più marcato in quei paesi dove la fiducia nella stampa è meno elevata e quindi si sviluppa un maggiore coinvolgimento dei lettori nei confronti della loro testata di riferimento.

 

Un'altra anomalia italiana riguarda la televisione. Mentre in tutti i paesi monitorati dal Digital News Report è internet la principale fonte di informazione, da noi la televisione è ancora il mezzo di comunicazione preferito per informarsi: l'83 per cento degli intervistati utilizza la tv per tenersi aggiornato, la stessa che poi si connette per approfondire.

 

 

In significativo aumento anche l'utilizzo dei social network come fonte di informazione: il 51 per cento li adopera settimanalmente, il 12 per cento come servizio principale. Facebook è quello più utilizzato e in continua ascesa, Twitter perde terreno, mentre YouTube accresce il suo pubblico, nonostante i video continuino a essere utilizzati da una piccola minoranza di persone. La grande maggioranza degli utenti infatti preferisce ancora l'informazione testuale a quella visiva.