Il logo Apple (foto LaPresse)

I problemi di Apple a Pechino non si limitano alle vendite

Eugenio Cau
Dopo i cattivi risultati provocati soprattutto dal mercato cinese e il crollo in Borsa, Cupertino perde una causa sul marchio registrato degli iPhone. Le preoccupazioni per le società straniere

La settimana appena trascorsa è stata una delle più dure della storia recente di Apple. I risultati trimestrali, pubblicati la settimana scorsa, sono stati negativi per la prima volta in tredici anni e hanno amplificato negli analisti e negli investitori le preoccupazioni che i giorni migliori della società siano ormai passati, nonostante l’ottimismo e la decisione dimostrati dal ceo Tim Cook nei giorni scorsi. A far crollare i nervi della Borsa, poi, ci ha pensato il celebre investitore e speculatore Carl Icahn, che ha annunciato di aver venduto di recente tutte le sue azioni Apple. La parola del guru è suonata come un grido di allarme. A Wall Street il titolo Apple è crollato e ha vissuto la più lunga striscia di risultati negativi dal 1998. Otto giorni di rosso, in cui il titolo ha perso il 13 per cento e da cui è riuscito a rimbalzare soltanto ieri, quando ha recuperato l’1,6 per cento.

 

Come si desume dai dati della trimestrale, gran parte della colpa dei cattivi risultati di Apple è del mercato cinese, e non solo il crollo delle vendite. Lo stesso Icahn, giustificando la vendita in massa dei suoi titoli, ha detto che la ragione principale è “l’attitudine” della Cina nei confronti della società di Cupertino. Questo comprende tanto il declino relativo della disponibilità della classe media cinese verso i consumi di alto livello, come i prodotti Apple, quanto un senso più generico e difficile da afferrare di progressiva chiusura del mercato.

 

Per Apple, questa presunta restrizione dell’accesso al mercato è particolarmente preoccupante, sia perché le sue possibilità di crescita futura sono legate alla disponibilità di spesa della classe media cinese, sia perché si moltiplicano i segnali di un’insofferenza crescente: il mese scorso è arrivato il blocco del negozio digitale di film e libri; ieri Apple ha perso una causa sui diritti del marchio registrato “iPhone”.

 

Un tribunale municipale di Pechino, infatti, si è espresso a favore di Xintong Tiandi Technology, una società che produce accessori in pelle e che sui suoi portafogli e sulle sue – appunto – custodie per iPhone ha impressa la scritta IPHONE, con tanto di marchio del copyright. Apple aveva registrato il marchio iPhone in Cina nel 2002, ma la sua richiesta non era stata accettata fino al 2013. Nel frattempo, Xingong Tiandi nel 2007 aveva registrato il marchio IPHONE. Secondo il tribunale di Pechino, Apple nel 2007 non era un marchio abbastanza conosciuto in Cina da giustificare un furto di proprietà intellettuale, e per questo Xingong Tiandi ha il diritto di continuare a usare la dicitura IPHONE per i suoi prodotti.

 

La copia ha battuto l’originale, e anche se il caso è piccolo è fonte di preoccupazioni più ampie, non solo per Cupertino. L’imprevedibilità del sistema legale e le restrizioni imposte da Pechino alle imprese straniere sono note da sempre. Ma adesso sembra che il governo abbia stretto le maglie del controllo. E’ un problema comune a molte compagnie straniere che hanno fatto grandi investimenti nel paese: oggi il Wall Street Journal racconta come molti occidentali in Cina, dagli investitori ai gestori delle ong ai giornalisti, sentano che il clima di accoglienza percepito fino a pochi anni fa si sta facendo più arcigno e diffidente.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.