C'è un algoritmo che sa meglio di noi cosa ci piace sui social (ma non ditelo a Michele Serra)

Michele Boroni
Instagram ha trovato un modo per ottimizzare l'ordine delle foto visualizzate. Alcuni utenti l'hanno già definito un "attentato alla libertà". Ma la novità, di fatto, ha una sua logica.

Era già successo in passato con gli altri social network come Facebook e Twitter, ma mai come questa volta la presa di coscienza e il boicottaggio da parte degli utenti è stato così assordante. Un breve riepilogo.

 

Con Twitter in declino e Facebook fin troppo affollato, oggi Instagram è senza dubbio il socialino che piace a grandi e piccini. Poche parole, inutili discussioni ridotte al minimo, nessun compleanno da festeggiare, ma solo tante foto (e brevi video) che, grazie ai mille filtri disponibili, trasformano il fotografo più negato in un piccolo artista. E l'impressione da parte di molti è che Instagram sia un social network gestito principalmente dagli utenti, senza interferenze particolari o cattivi algoritmi.

 

Così ovviamente non è. Instagram appartiene dal 2012 a Facebook che, ovviamente, desidera impiegare commercialmente i 400 milioni di utenti che ogni mese fanno scorrere le loro dita sugli smartphone per osservare e condividere foto e video. Così Mark Zuckerberg ha annunciato, attraverso i propri ingegneri, che nei prossimi mesi le immagini non saranno più visualizzate dagli utenti nel canonico ordine cronologico, bensì saranno ordinate in base a un algoritmo che classifica i post con più mi piace, con più condivisioni o pubblicati dagli utenti che seguiamo più assiduamente. Apriti cielo. Dopo l'annuncio sono piovute migliaia di post al grido poco sexy e assai nerd di “Mantenete Instagram Cronologico”, con tanto di hashtag #boycottinstagram.

 

Per gli utenti del social, anime belle e dai colori ben saturati, l'algoritmo viene visto come il male assoluto: c'è la convinzione che tutto ciò che viene postato abbia la stessa probabilità di raggiungere un pubblico, perché buono e bello, e l'idea che si metta di mezzo un filtro giudicante rende il tutto intrinsecamente scorretto. In realtà il ragionamento degli analisti di Instagram ha una sua logica. Più utenti ci sono, più sono le persone che seguiamo e più siamo sommersi dalle immagini: si stima che gli utenti perdano circa il 70 per cento del contenuto – dice il Ceo Kevin Systrom - “e noi vogliano che questo 30 per cento delle foto che vedono sia migliore”.

 

L'algoritmo in fondo dà risalto non solo a ciò che è più popolare, ma tiene conto anche di quello che ci piace di più. E' questo il paradosso. La verità è che siamo profondamente pigri: più ci immergiamo in profondità nei social media, più la prospettiva di curare personalmente la nostra timeline, dando priorità e preferenze, diventa difficile e dispendioso in termini di tempo e risorse. Perciò dare tutto questo in outsourcing a un algoritmo sembrerebbe la soluzione perfetta, ma qui si erge il muro della resistenza. Qualsiasi tipo di cambiamento, anche se progettato per avere una migliore esperienza di navigazione, è visto come un attentato alla libertà.

 

Del resto è un cammino che anche gli altri social media hanno già percorso in passato, con tanto di piccoli malumori da parte degli utenti, subito placati una volta scoperti i lati positivi; ma questa volta, con le immagini come oggetto del contendere, la novità è percepita in modo ancora più negativo. Ovviamente il gioco di Instagram è che inserendo la ponderazione all'interno della nostra timeline, aumentino anche i guadagni per la compagnia, costringendo i brand a pagare per un posizionamento migliore piuttosto che limitarsi a fare affidamento all'oggettiva cronologia.

 

Forse abbiamo raggiunto la fase in cui i computer sanno molto meglio di noi quello che vogliamo. Ma, vi prego, non ditelo a Michele Serra.

Di più su questi argomenti: