Perché la legge sulla sharing economy può uberizzare il mercato italiano
In particolare, ciò viene suggerito da due tra le più recenti startup italiane, che si rivolgono appunto ai proprietari di immobili sfitti che sono timorosi di darli in locazione secondo le modalità tradizionali. Yi-Ton, creata dall’architetto Cristiana Sardella e dalla giovane imprenditrice cinese Giorgia Zhou, si rivolge al mercato in crescita degli studenti cinesi iscritti alle università italiane grazie ai programmi Marco Polo e Turandot: solo nel 2015, le pre-iscrizioni sono state 4.000, tra il 2008 e il 2015 le candidature sono state 20.000, e negli ultimi dieci anni i cittadini cinesi che hanno frequentato i nostri atenei sono stati 33.000. Yi-Ton offre ai giovani cinesi immobili da affittare in totale sicurezza, senza rischi e con pagamenti puntuali e sicuri, contando sull’affidabilità della loro cultura e sul loro bisogno di trovare interlocutori. E all’immobile aggiunge altri servizi ad hoc: sia per i proprietari, come ad esempio la ristrutturazione degli immobili a prezzi competitivi, l’inventario dei beni, servizi di manutenzione; sia per gli affittuari, come l’assistenza medica, l’iscrizione all’ateneo scelto, il disbrigo delle pratiche per il permesso di soggiorno, il trasferimento da e per l’aeroporto. Italianway si propone invece come una sfida italiana ad Airbnb, anche se per ora è centrata solo su Milano, dove comunque gli immobili sfitti mai affittati sarebbero 30.000. Da un anno Davide Scarantino e Gianluca Bulgheroni, due architetti amici di famiglia dai tempi dell'infanzia, gestiscono dunque un servizio di locazioni brevi a scopi turistici che riguarda per ora un centinaio di appartamenti, ma che conta di arrivare entro fine anno a 400.
[**Video_box_2**]In relazione alle polemiche che hanno riguardato il modello Uber, i sostenitori della Sharing Economy sono stati spesso accusati di volere “uberizzare” l’economia. In realtà, però, la proposta di legge contiene un articolo, il numero 4, che definisce in dettaglio dei criteri di identificazione dai quali proprio Uber resterebbe fuori (vengono esclusi i servizi a tariffa fissa). Anche Airbnb, altro logo simbolo della sharing economy, verrebbe svantaggiato rispetto a realtà tipo BlaBlaCar, UberPop, EatWith o TaskRabbit per il fatto che la legge stabilisce un’aliquota fiscale del 10 per cento solo al di sotto dei 10.000 euro all’anno: sommabili con diversi servizi. In questo caso, le stesse piattaforme sono incaricate di trattenere la cifra, agendo per sostituto d’imposta. Sopra i 10.000 euro, invece, gli introiti sono considerati redditi veri e propri. Comunque, è d’obbligo che il pagamento sia digitale.
Ovviamente, tutto ciò potrà causare discussioni, ma i proponenti non solo non se ne spaventano: le sollecitano addirittura per migliorare il testo (che sarà online fino al 16 maggio). Commenti e proposte saranno dunque presi in considerazione per la stesura del testo definitivo. Secondo gli stessi promotori, la formalizzazione della sharing economy potrebbe elevare il gettito fiscale da 150 milioni a 3 miliardi entro il 2025.
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