L'ultima sfida di Netflix è la non-fiction (non si dica documentari)

Redazione
Ecco la strategia infarcita di big data della compagnia per diventare una potenza del genere della non-fiction.

Roma. Li chiami documentari e pensi ai video naturalistici sull’accoppiamento delle antilopi. Poi applichi al video un nome prestato dalla letteratura, quello di “non-fiction”, e cambia tutto. I documentari stanno vivendo una nuova età dell’oro, la democratizzazione portata dalle nuove tecnologie, una mutata sensibilità degli spettatori (per chi guarda, passare dai reality show televisivi al racconto realistico dei documentari è più facile che mai), l’aggiornamento dei linguaggi e delle tecniche hanno fatto sì che negli ultimi anni il numero di documentari di qualità, acclamati dalla critica e apprezzati dal pubblico, si sia decuplicato. Si sono riscoperti generi pensati perduti, come il documentario politico, e perfino il cinema, per esempio con due film vincitori di premi Oscar come “Dodici anni schiavo” e “Boyhood”, ha iniziato a prendere in prestito il linguaggio descrittivo della non-fiction.
Netflix, il grande distributore e produttore americano di contenuti video in streaming, che i rumors vorrebbero in arrivo in Italia entro la fine dell’anno, ha deciso che i documentari sono perfetti per il suo modello di business, e su Wired America Julia Greenberg ha raccontato la strategia infarcita di big data della compagnia per diventare una potenza del genere della non-fiction.

 

Quando si parla di documentari, in America, Netflix una potenza lo è già, da anni fa una politica aggressiva di acquisto dei migliori titoli sul mercato, ma adesso vuole trasformarsi anche in un un produttore e in un mecenate. Ha già conosciuto un successo enorme con “Mitt”, il documentario su Mitt Romney, lo sfidante di Barack Obama alle elezioni del 2012. E’ uscito l’anno scorso ed è così bello, e così emozionante, che alcuni critici hanno detto che se fosse uscito prima del voto Obama avrebbe avuto vita più dura. La compagnia ora sta preparando altre produzioni originali, tra cui un documentario in collaborazione con la casa di produzione di Leonardo di Caprio e uno sulla cantante Nina Simone. La strategia è quella di diventare un “paradiso per i filmmaker”, offrire agli autori sostegno e grossi budget che spesso le case di produzione tradizionali non vogliono rischiare. Quello del documentario è un genere trascurato dalle major, di recente è uscito su Slate un articolo polemico che parla di come i produttori spingano i registi dei documentari naturalistici a umanizzare gli animali come se fossero personaggi dei cartoni animati. Netflix non ha questi problemi, e non ha paura dei prodotti di nicchia. Il suo modello di business, fatto di algoritmi e big data, al contrario li usa come punto di forza.

 

[**Video_box_2**]Il successo di “House of Cards”, la serie (questa sì, di fiction) più famosa e premiata tra quelle prodotte da Netflix, si deve anche a un algoritmo. Netflix ha usato la gran mole di dati in suo possesso sui suoi abbonati e sulle loro preferenze per prendere decisioni importanti sul confezionamento della serie, e poi per individuare il modo migliore per distribuirla. Netflix non deve portare le sue produzioni al cinema, non ha bisogno di puntare tutto su titoli che attirino più pubblico possibile, ma può creare un’esperienza televisiva personalizzata per ogni abbonato. E’ così che i documentari, anche quelli di nicchia, funzionano, perché Netflix sa prima ancora del primo ciak a quanti spettatori potrebbe piacere un certo prodotto, e poi fare in modo che questo sia presentato al momento giusto, sul device giusto, preceduto da un video che invogli la visione di quello che viene dopo.

 

Molti dei documentari della nuova età dell’oro ormai non hanno niente da invidiare alle migliori serie televisive, e per esempio il gran film su Donald Rumsfeld, “The Unknown Known”, è appassionante quanto “House of Cards”, e di recente Johann Ari ha scritto sul New Statesman che il successo dei documentari continuerà a crescere, perché il pubblico del mondo digitale è affamato di realtà. Netflix ha trovato il modo giusto per rispondere a questi bisogni – c’è un algoritmo anche per questo.

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