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Il futuro visto da Google

Michele Masneri

“L’Italia ha problemi politici e demografici più che economici”, ci dice il chief economist Hal Varian

San Francisco. Hal Varian è uno dei grandi guru di Silicon Valley. Chief economist di Google, docente emerito a Berkeley, è anche un conoscitore di Italia, avendo abitato per qualche tempo a Siena. Autore di vari manuali ormai classici, come la sua “Microeconomia”, lo incontriamo a una riunione del Silicon Valley Italian Economic Council (Sviec) dove tiene un discorso molto entusiastico su robot e futuro, forse troppo.

 

“Una volta solo i ricchi potevano avere la tv a schermo piatto, ora ce l’hanno tutti” dice alla platea. “Una volta solo i veramente ricchi potevano avere l’autista. Ora tutti possono avere Uber, e presto l’auto autonoma. E parlando di Uber, tu sali su una macchina, sai chi hai di fronte, l’autista sa chi sei tu, con una transazione registrata e sicura. Ti senti molto più sicuro, fai parte di un club. E presto ognuno avrà un assistente personale, elettronico. Una volta Larry Page disse che il problema di Google era che per avere una risposta gli dovevi fare una domanda, ormai tra poco non sarà più così”. Professore, a proposito di Uber, ha sentito che in Italia è stata messa fuorilegge dalla magistratura? “Ho sentito!”, dice Varian. “Mi sembra che renderla illegale non sia una grande idea. Piuttosto, mi chiedo, perché invece che boicottarla, i tassisti non cominciano a usare anche loro una tecnologia tipo Uber? Sarebbe molto più intelligente”.

 

Parliamo di Italia. “Mi hanno detto che da voi il mio manuale ha venduto più di Marx, ma non credo che sia vero”, dice Varian. “In Italia – prosegue – c’è stata la Seconda guerra mondiale e poi il boom, anni di grande apertura e prosperità, ma negli ultimi anni c’è una grande stagnazione. Stagnazione che c’è in diversi paesi, per carità, ma in Italia particolarmente. Non è un problema economico, io potrei dirle che bisogna aumentare la flessibilità del lavoro, è una tipica risposta da economista, ma è un problema politico, non economico, ci vuole una volontà politica. Matteo Renzi stava cercando di cambiare le cose ma è stato espulso dal sistema. In Italia c’è anche un grande problema demografico, il saldo delle nascite è negativo, e questo alla lunga creerà un problema perché non ci saranno più tutti i lavoratori che servono. A meno di ricorrere a due soluzioni, da una parte l’immigrazione, dall’altra l’automazione”. Due temi spinosi. In particolare, c’è stato un dibattito negli ultimi tempi sul fatto che i robot possano portare via lavoro. “Già, ed è curioso che se ne parli proprio in Italia, dove si fabbricano ottimi robot, penso a quelli della Comau che assemblano le auto. E’ interessante notare che i paesi che hanno saldi demografici più negativi sono anche quelli dove si producono più robot”. 

 

“Non solo in Italia ma anche Germania e poi Corea del sud, e Giappone”. Quindi lei lo conferma, i robot porteranno via posti di lavoro. “Quelli non qualificati, sì. Pensiamo qui in America alla rust belt, la cintura della ruggine, città deindustrializzate del midwest. In futuro, chi si prenderà cura delle persone? Chi farà l’infermiere in posti dove nessuno vuole più stare? I lavoratori a basso costo saranno sostituiti, sì, questo è certo”.

 

Altro tema, i rapporti con Trump. Silicon Valley sembra nutrire un odio antropologico per il presidente. Però ci sono eccezioni. Peter Thiel, finanziere e consigliere di amministrazione di Facebook, è stato ricompensato dell’appoggio a Trump con il posto di consigliere. Altre aziende come Apple potrebbero in realtà beneficiare della vituperata Amministrazione Trump (con leggi favorevoli sul rientro dei capitali). “In generale direi che l’atteggiamento di Silicon Valley è quello del wait and see, dello stare alla finestra, vediamo che succederà. Di sicuro preoccupano le regole sull’immigrazione, Silicon Valley è nata e ha prosperato proprio grazie all’immigrazione”.

 

E infine, l’industria dei contenuti. Varian si definisce “giornalista part-time”, è appassionato del settore, in Italia ha vinto il premio “E’ giornalismo” nel 2013, scrive spesso sul Financial Times. Nel cambiamento generale, Google si metterà a fare anche lei le notizie? “No, noi siamo un’azienda di distribuzione di contenuti, e stiamo facendo un sacco di lavoro per cercare di trovare un modo sostenibile di farlo. E’ chiaro che il modello del futuro, per le news, è quello della subscription, quello cioè di Spotify”. Lei comprerebbe azioni di un giornale, oggi? “Dipende, se fa qualcosa di unico, se ha qualcosa che gli altri non hanno, questa è la domanda da farsi. Il tempo delle news generiche è finito, non interessano a nessuno, sono troppo facili da distribuire”. “L’unico giornale che compro ancora cartaceo è l’Economist, nel fine settimana, ma poi quando voglio leggerlo davvero vado online. Così come online leggo il New York Times, Businessweek, il Financial Times. Il problema della stampa sono i costi, metà dei costi se ne va in produzione e distribuzione, solo il 15 per cento va a coprire il vero lavoro giornalistico. Si rende conto, togliendo la carta si dimezzano”. Quindi i giornali hanno i giorni contati? “Resistono, ma saranno sempre meno. Al momento, a leggere solo online è la maggioranza delle persone di 25 anni. Ma tra dieci anni sarà la maggioranza di quelle fino a 35 anni, e così via”. Insomma, nella carta stampata ci crede o no? “No”. Google diventerà mai un editore? “No, Google non è interessata a fare contenuti. Siamo interessati ad aggregarli, a farli trovare agli utenti, a renderli visibili, ma non a crearli”.

 

E il cinema? Silicon Valley sta uccidendo Hollywood. Netflix e Amazon fanno le loro produzioni e prendono gli Oscar, disegnano serie tv su misura in base alle preferenze degli abbonati grazie ai dati incamerati. “Uccidendo? Ma se stiamo comprando tutti i loro film, li trasmettiamo, dovrebbero essere riconoscenti. Noi siamo estremamente interessati a Hollywood”. Google, il più grande serbatoio di dati del pianeta, si metterà a fare il cinema sfruttando le preferenze dei suoi clienti? Produrrete anche voi delle serie, tramite YouTube? “No, YouTube non produrrà mai contenuti video, per ora monetizziamo contenuti prodotti da altri. C’è per esempio YouTube Red, che distribuisce contenuti in parte a pagamento. Ma produrli no, non lo faremo mai”.

 

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