Il wrestler Hulk Hogan (foto LaPresse)

Il film sul drammone odi et amo tra Peter Thiel e Nick Denton che ha infiammato San Francisco

Michele Masneri

“Nobody Speak: Hulk Hogan, Gawker and Trials of a Free Press”, il documentario del regista Brian Knappenberger, è il “Via col Vento” dell’èra degli algoritmi

Silicon Valley, arriva finalmente il film. E’ stato presentato all’ultimo Sundance Festival il documentario “Nobody Speak: Hulk Hogan, Gawker and Trials of a Free Press”, cioè la storia del drammone che ha fatto impazzire San Francisco e dintorni. Opera del regista Brian Knappenberger, è il “Via col Vento” dell’èra degli algoritmi, la storia d’amore-odio insomma tra Peter Thiel e Nick Denton, rispettivamente eminenza grigia-mogano di Facebook e Paypal ed ex editore del (fallito) Gawker, il Dagospia americano. La storia è nota a tutti: Thiel, oggi consigliere tecnologico di Trump, è riccone siliconvallico tra i più eccentrici, libertario sponsorizzatore di isole sovrane e di ragazzini che abbandonano la scuola per fondare startup, ma soprattutto gay riluttante: fu sputtanato anni fa dal sito Gawker, giurò vendetta e finalmente la trovò contro l’ex giornalista del Financial Times e gay a sua volta Denton, che col Dagospia siliconvallico aveva fatto fortuna a San Francisco. Thiel aspettò in riva al fiume finché non arrivò il corpo non del reato ma del decotto mito del wrestling, Hulk Hogan, sputtanato pure lui da Gawker, nello specifico con un video come si vuole virale dello stagionato lottatore alle prese con la moglie del suo amico lottatore “Bubba the Love Sponge” (entrambi consenzienti, filmati in effusioni privatissime, ma Denton teorizzava che tutto è lecito per chi fa informazione).

Hogan, vero nome “Terry” Eugene Bollea, forse parente del defunto neuropsichiatra, non aveva soldi per fare causa. Thiel arrivò allora come la fatina della Silicon Valley, pagò i migliori legali, in particolare l’avvocato Charles Harder, detto anche l’ammazza-giornalisti, che è stato appena ingaggiato dalla first lady Melania Trump in una causa di diffamazione contro il Daily Mail. Hogan, eterodiretto da Thiel, ottenne un risarcimento da 115 milioni di dollari, e Denton perse tutto: il sito (venduto e chiuso), financo la casa newyorchese, messa in vendita (nel frattempo si era sposato con un signore afroamericano, dopo essersi lamentato che in Silicon Valley non ci sono abbastanza neri, appunto).

 

Da allora Thiel ha fatto carriera politica, dà la manina a Trump nelle foto di opportunità, mentre Denton lancia appelli e reprimende sui giornali, qualcuno dice che in realtà si parlano, si incontrano in località segrete (è chiaro che si amano). Il documentario parte dal processo, il caso “Bollea vs Gawker” ed è dunque un courtroom drama, e rischia di essere irresistibile. Contiene interviste a Denton che – è abbastanza probabile – faranno discutere. E’ conteso da tutti, e pare che ad accaparrarselo sarà l’immancabile californiana Netflix, pronta a spendere due milioni di dollari per avere il film, e irraggiarlo poi a tutti noi.

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