Il team di Soisy al lavoro (foto Guido Mencari)

Com'è il passaggio dal lavoro in banca a una start up

Stefania Nicolich

Orari flessibili, organizzazione individuale ma nessuna anarchia. L'avventura di Soisy

Com’è lavorare per una start up? Giorgia Pavia, con alle spalle una gavetta di due anni presso Johnson & Johnson Medical, una laurea triennale in Scienze della comunicazione, una specialistica in scienze politiche e un master in web marketing, tre anni nella direzione Comunicazione di Bnl Bnp Paribas, nel 2016 è passata a lavorare per una start up fintech in social lending, Soisy.

“Un giorno, un mio ex capo mi contatta parlandomi di Pietro, fondatore di Soisy, descrivendolo come un visionario e così l’ho conosciuto. Mi ha fatto entrare in una nuova avventura” racconta Pavia.

 

Da una banca a una start up, il passaggio è netto. “Nel mondo della start up partecipi a qualsiasi attività della stessa. Ad esempio, dovevano decidere sull’aumento del capitale e ogni persona poteva dare la sua opinione a riguardo, c’è una trasparenza in ogni decisione. E’ l’intelligenza collettiva che decide”, aggiunge. L’aumento di capitale, poi, c’è stato e ammonta a 891 mila euro.

 

C’è una soddisfazione maggiore, ovviamente, poiché ognuno sente il peso della propria responsabilità e constata l’impatto del proprio lavoro in tempo reale. “Tu puoi prendere anche le decisioni che si rivelano fallimentari, sei tu al 100 per cento”, dice Giorgia Pavia. Ognuno decide come organizzarsi il lavoro, ci sono degli orari ma sono molto flessibili e ci si viene incontro. Ogni membro del team lavora da remoto e organizza il proprio lavoro per obiettivi, non secondo orari di lavoro. Le persone nel team, inoltre, si aiutano e si sostengono a vicenda. Le persone vengono prima, insomma.

 

Nell’organizzazione non vige però la completa anarchia, dal momento che ogni venerdì vengono analizzate le attività della settimana passata proiettandosi già su quella successiva. Ogni attività presa in carico si discute insieme e si settano gli obiettivi, si testa e si validano le ipotesi fatte. “Il fattore chiave è dare la massima autonomia alle persone in modo che possano espandere il proprio potenziale in ogni direzione”, spiega Pietro Cesati, ceo di Soisy.

Dall’esperienza di Giorgia Pavia, rispetto al lavoro in banca, la mole di lavoro è maggiore, ma con maggiori responsabilità e ha, quindi, un peso ben più notevole.

 

Nell’entrare in una start up, un’azienda in costante divenire, le attitudini e competenze del team contribuiscono a disegnare la cultura aziendale e i suoi valori. “Pietro Cesati, ceo, e Andrea Sandro, co-founder, mi hanno scelto per i miei valori, le mie idee e il mio approccio al lavoro”, sottolinea la nostra interlocutrice.

 

Attitudine, duro lavoro e strategia sono anche gli ingredienti della storia di Matteo Cracco, che da una start up è passato, invece, a un progetto che lo ha riportato alle origini della sua carriera. Cracco ha fondato Vicker, start up sui microlavori, ma all’inizio dell’anno si è trovato in disaccordo con il suo socio. A marzo è tornato a fare il regista e lo sceneggiatore. Ha scritto un cortometraggio, Bad News, che a settembre è stato presentato al Festival di Venezia e poi è uscito nelle sale di Los Angeles e ora anche in lizza per l’Oscar. Al momento sta scrivendo un film, ha aperto una propria casa di produzione in Italia, Neverend Pictures, con un socio, Diego Panadisi, ha trovato investitori privati per produrre il proprio film. “La mia esperienza in campo star tup era un tassello necessario per arrivare all’esatto momento e luogo in cui sono adesso. Il lato artistico si fonde con il lato imprenditoriale per formare la combinazione vincente”, spiega Cracco. L’aver imparato a trovare investitori, a tenere insieme una squadra e trovare il corretto prodotto per il pubblico adeguato, è il valore aggiunto decisivo nel produrre un film. “Impari ad avere una strategia solo se hai trenta stipendi da pagare, quando lanci un’idea e non piace a nessuno e devi aggiustare il tiro”, conclude .

Di più su questi argomenti: