Waze e GetTaxi, da esperimenti nati quasi per caso, sono diventati giganti insostituibili

Jonathan Pacifici
Israele oggi è questo. Un paese incubatore a cielo aperto nel quale tutti remano dalla stessa parte per migliorare la vita di milioni di persone nel mondo, a cominciare da loro stessi. GetTaxi e Waze non sono che la parabola di ciò che è diventato Israele negli ultimi anni.

Una domenica sera di un paio di anni fa, ventiseiesimo piano della Electra Tower uno degli ultimi scintillanti grattaceli di Tel Aviv. Negli uffici di Google presentiamo le nostre prime cinque startup. Parlo da pochi minuti quando tutti cominciano a guardare telefoni e iPad e le risatine serpeggiano. Uno dei dirigenti di Google senza dire una parola allarga le mani scusandosi ed esce di corsa dalla stanza. Qualcuno ha il buon senso di passarmi il suo tablet e così, ultimo nella stanza, vengo a sapere che i nostri ospiti hanno appena fatto di nuovo shopping in Israele. Sembra che sia la volta buona e dopo un tormentone di diverse settimane Google si comprerà l’israeliana Waze per la cifra iperbolica di un miliardo e trecentomilioni di dollari. Con i suoi cinquanta milioni di utenti nel mondo, Waze è diventata il leader mondiale della navigazione.

 

C’era una volta il GPS, lo ricorderete. Ci sembrava un miracolo avere una mappa digitale che ci dicesse come andare in un posto che non si conosce. Poi sono arrivati i ragazzi di Waze che con l’impudenza di cui solo gli israeliani sono capaci hanno insegnato al mondo che guidare può essere un’esperienza sociale. L’idea è semplice e geniale. Se devi andare da A a B, non è detto che il percorso breve sia il migliore. Sulla base dei dati forniti dagli utenti, a Waze sono in grado di dire qual è il percorso giusto in ogni dato momento. Qualche settimana fa, Waze mi ha consigliato di cambiare strada e di non fare l’autostrada 443 che prendo tutti i giorni. Mi ha salvato la giornata. Un incidente in galleria l’ha bloccata per ore. La gente non parla d’altro. Tutti conoscono qualcuno che lavora per Waze, che ha investito in Waze, che ha un amico che in qualche modo ha avuto a che farci. Dopotutto, Israele è un paese piccolo e quando sei nell’ambiente, conosci tutti.

 



 

Fej Shmuelevitz, il loro vicepresidente per le  Operations è laureato nel mio stesso programma di MBA, Kellogg-Recanati. Nel gruppo degli Alumni della facoltà scattano subito i messaggi di auguri. Il mio pensiero va però subito ad Uri Levine, uno dei fondatori di Waze. Circa dieci anni fa è stato mio cliente quando lavorava per un’altra startup, Celltrex. All’epoca avevo a che fare con una società di consulenza e partecippamo insieme a diversi incontri in giro per l’Europa. Celltrex aveva una soluzione per portare la posta elettronica sul cellulare. Era l’epoca del wap e l’iPhone non era nemmeno all’orizzonte. Non credo ebbe fortuna, nonostante l’idea – come si sarebbe poi dimostrato – fosse giusta. Ma così funziona. Una volta perdi e una vinci, solo chi non gareggia non vince mai. I giornali dicono che Uri si porterà a casa quasi quaranta milioni di dollari.

 

L’exit, ovvero la vendita delle proprie quote e la monetizzazione di anni di lavoro, è il sogno di ogni startuppista. Ed è il sogno di ogni investitore. I colleghi di Magma, Vertex e Blu Run – tra i primi fondi a credere in Waze – realizzeranno dei ritorni strepitosi. Certo non va sempre così, ma succede. E io vedo le occhiate dei miei startuppisti. Magari domani toccherà a loro. C’è orgoglio nei loro occhi, sono contenti. Contenti per il successo altrui che poi alla fine è il successo di un intero sistema-paese. Per me è naturale fare i paragoni con il mio altro paese, l’Italia, dove il primo istinto sarebbe l’invidia. L’invidia che si ha per il calciatore miliardario, per chi ha vinto il superenalotto, per Berlusconi… per il padrone. In una mentalità da lotta di classe da primo Novecento, non ci accorgiamo ancora di quanto il mondo sia cambiato.

 

In Israele non sono tutti ricchi. E non sono tutti startuppisti. Però è un paese nel quale il tassista emigrato negli anni 50 dalla Tunisia, cacciato senza salvare nulla di quello che aveva la famiglia, dopo una vita di sacrifici al volante ti guarda nello specchietto e ti racconta con orgoglio della startup del figlio.  E poi arriva il momento di pagare, tiri fuori l’iPhone e clicchi su “credit card” nell’app GetTaxi. Altra storia israeliana che sta diventando un successo mondiale. Il taxi lo prenoti con l’app che sa dove ti trovi, puoi pagare con la carta, parli con l’autista che sta arrivando, ti arriva la fattura in ufficio e sono tutti contenti. L’autista mi ringrazia. Vede sul suo schermo che ho cliccato per una mancia del dieci per cento.  Ah, si la mancia. Non esisteva per i taxi in Israele, ma da quando c’è GetTaxi, il servizio è talmente buono ed è così facile scegliere l’opzione sul cellullare che la gente la lascia volentieri. E i tassisti ringraziano e fanno la fila per ricevere il pacchetto GetTaxi negli uffici della società, proprio sotto la nostra sede di Wadi Ventures, a Tel Aviv. In Italia ancora si polemizza su Uber.

 



 

Israele oggi è questo. Un paese incubatore a cielo aperto nel quale tutti remano dalla stessa parte per migliorare la vita di milioni di persone nel mondo, a cominciare da loro stessi. GetTaxi e Waze non sono che la parabola di ciò che è diventato Israele negli ultimi anni. Di Waze qualcuno ha detto che era chiaro che sarebbe stata un’invenzione israeliana. Del resto, ci cimentiamo con i navigatori da quando le colonne divine di fuoco e di nubi ci hanno guidato dall’Egitto in Israele. Credo sia molto più che una battuta.

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