La rivoluzione digitale rosicchia profitti alle aziende? L'idea di Tip: cercare nei garage per rimediare

Elena Bonanni

    In tutto il mondo i profitti delle aziende sono destinati a diminuire. Colpa della rivoluzione digitale e della new economy. Colossi come Kodak, Nokia e Blockbuster sono scomparse nel giro di un clic. Allo stesso tempo abbiamo fatto i conti con le ascese travolgenti di Google e Facebook. Per capire come sta cambiando l’economia e dove vanno i profitti molto meglio investire nelle start up piuttosto che abbuffarsi di convegni di economisti e visionari. Parola di Giovanni Tamburi, banchiere d’affari, nel campo della finanza aziendale da lungo corso, prima al Gruppo Bastogi poi negli anni Ottanta all’Euromobiliare di Carlo De Benedetti, oggi alla guida della boutique finanziaria Tip (Tamburi Investment Partners), si è costruito la fama di talent scout delle aziende italiane.

     

    “Alla fine nessuno ha ancora capito nulla. C’è un’ondata di competitività da compressione dei prezzi ma nessuno ha compreso bene dove sta andando il mondo. Noi però vogliamo esserci. Crediamo che investire in Digital Magics (incubatore di start up quotato a Piazza Affari, Ndr) possa essere uno dei modi di capire il futuro”, ha detto Tamburi intervenendo qualche giorno fa all’Investor Day dell’incubatore fondato da Enrico Gasperini. In Digital Magics Tip ha messo un chip di peso, salendo proprio nei giorni scorsi al 19 per cento del capitale dal precedente 15,15 per cento. L’investment bank aveva partecipato all’aumento di capitale da 4,99 milioni di euro dello scorso giugno, con un investimento di 2 milioni e una quota del 10,66 per cento per poi continuare a comprare azioni sul mercato. “Noi siamo qui perché ci vantiamo di avere nel nostro portafoglio di imprese leader del mondo, ma domani? Cosa succederà ai loro profitti? Noi siamo qua a capire, a comprendere come il mondo si può sviluppare in una nuova direzione”, ha detto spiegando l’investimento di Tip in Digital Magics. Il contesto è quello di “una rivoluzione folle di profitti che vanno giù e multipli che vanno su”, con una società come Netflix che ormai vale 105 volte l’Ebitda e, si chiede Tamburi, “quando darà risultati economici per dire ‘ho fatto bene a investire lì’?”. “Questo mondo va però guardato e penetrato per trovare delle regole. Per ora è la confusione. In più c’è un universo di persone che invecchia, una rivoluzione dei consumi, che cambieranno ancora di più”, ha rilevato l’investment banker affermando che “tra il costo del prezzo della plastica e il prezzo di vendita è l’innovazione che fa la differenza. E noi dobbiamo lavorare lì”.

     

    Le performance passate, si dice in finanza, non sono garanzia di rendimenti futuri. Per ora però Tamburi ci ha visto lungo scommettendo su aziende internazionali, tecnologiche e leader di settore tra cui Prysmian, Moncler, Eataly, Bolzoni Auramo. In dieci anni, ogni euro investito in Tip si è rivalutato complessivamente di 2,67 volte. Per avere un metro di confronto, Tip ha fatto meglio dell’indice americano S&P500 (2,12 volte), dell’indice S&P global luxury (2,34 volte) o dell’S&P global property (1,38 volte) ma anche dell’oro (2,36 volte). Per la gioia delle grandi famiglie imprenditoriali italiane che hanno investito nella società di Tamburi, dalla bolognese Isabella Seragnoli ai milanesi Baggi Sistini (la famiglia della Settimana Enigmistica), dagli Angelini alla D’Amico Shipping.

     

    Latitano gli investitori istituzionali

     

    Eppure, quando si parla di start up, in Italia non molti sembrano pensarla come lui, soprattutto tra chi gestisce il denaro dei risparmiatori. Se le risorse in arrivo dai business angel, dai family office e dagli incubatori continuano a crescere (più 32 per cento sul 2014), nel 2015 gli investitori istituzionali, rivelano i dati dell’Osservatorio di Italia Start up, hanno ulteriormente ridotto gli investimenti (meno 8 per cento). Nel complesso, gli investimenti in venture capital in Italia sono tra i più bassi in Europa: rappresentano lo 0,002 per cento del pil, un decimo della media europea (0,024 per cento), con la Germania che si attesta allo 0,023 per cento del pil e gli Stati Uniti allo 0,038 (dati 2014 di Thomson Reuters Datastream). Però nelle mani delle società di gestione ci sono 1.718 miliardi di euro, di cui il 52 per cento è nella disponibilità delle gestioni di portafoglio, ossia gestioni personalizzate e discrezionali sulla base dei mandati conferiti dai clienti. Basterebbe, sottolinea chi si occupa di start up, uno zero virgola di questa cifra per raddoppiare gli investimenti di venture capital.