Satispay e Retro Super Future: tra Cuneo e Milano

Federico Sarica

Non ce la faremo mai, ripete fra sé e sé il milanese collettivo mentre guarda i cantieri che preparano la città a Expo 2015.

Non ce la faremo mai, ripete fra sé e sé il milanese collettivo mentre guarda i cantieri che preparano la città a Expo 2015. E quando lo dice, intende che non ce la faremo mai a finire in tempo per l’inizio della kermesse, ma sottintende che in fondo non saremo mai in grado di agganciare il resto del mondo che corre vento in faccia verso la modernità mentre qui ripiegarsi su noi stessi è ormai sport nazionale. Quello che il milanese collettivo sovente non sa, è che quella tanto agognata modernità ce l’ha già sotto casa, basta alzare lo sguardo dai lavori in corso. Corso Sempione 68, Milano ovest. Si trovano qui gli uffici che ancora profumano di nuovo (con tanto di sale riunioni trasparenti e appunti colorati a pennarello sulle pareti vetrate) di Satispay, la start up italiana che si prefigge come obiettivo quello di sostituire il contante nei piccoli grandi pagamenti di tutti i giorni. Satispay è stata fondata da tre trentenni, tutti di Cuneo: Alberto Dalmasso, Dario Brignone e Samuele Pinta, con alle spalle esperienze lavorative a cavallo fra finanza e settore energetico. Esperienze lavorative e relativo posto fisso ben remunerato che hanno prontamente lasciato non appena il loro sogno ha iniziato a prendere corpo e ad attrarre investimenti. L’obiettivo di Satispay, realtà per la quale oggi lavorano a tempo pieno più di quindici persone, è chiaro quanto ambizioso: diventare entro i prossimi tre anni leader europei nel settore dei movimenti quotidiani di denaro; dallo shopping alla pizza fra amici, dalla palestra alle spese da dividere coi coinquilini. “Il nostro principale competitor è il contante”, dichiara sicuro Dalmasso al Foglio. Quello che hanno creato i tre cuneesi è un circuito di pagamenti alternativo alle carte di credito ma che non prevede commissioni per gli utenti. Zero. Il tutto tramite un’applicazione che è fuori da meno di un mese, ma conta già qualche migliaio di utilizzatori e nell’autunno scorso ha ottenuto un secondo round di investimenti superiore ai cinque milioni di euro. A crederci sono soprattutto operatori del settore finanziario, manager privati e la banca Iccrea, attirati dalla semplicità e dalla praticità del meccanismo che sta dietro a Satispay. Come se non bastasse, visto che di tracciabilità del denaro si parla tanto anche in ambienti fiscali e legislativi, la creatura di Alberto, Dario e Samuele ha catturato le attenzioni di alcuni parlamentari interessati al problema e soprattutto alla soluzione che può rappresentare Satispay in questo campo. Non solo i tre ci credono molto, ma sono convinti che siano questo il momento e il posto giusto per provarci: “Un consiglio per quelli che hanno un progetto e vogliono provare a realizzarlo: leggetevi bene la normativa italiana sulle start up, al contrario di quello che si pensi, è molto ben scritta e permette di fare molte cose”.

 

Col sole in fronte

 

Se dagli uffici di Satispay si cammina in direzione piazza Duomo, dopo aver attraversato il Parco Sempione, il Castello Sforzesco e la sede di Expogate (altro grande argomento di conversazione del milanese collettivo che fa no con la testa), in un seminterrato di una via laterale del centro storico, ci si può imbattere nel quartier generale di Retro Super Future, azienda che produce semplicemente occhiali da sole. Né più, né meno. Il punto è come lo fa: ricerca nel design, produzione artigianale, attenzione maniacale ai dettagli e alla confezione. Quando qualche amico vi fa notare che in fondo tutto ’sto gran parlare di made in Italy e di stile italiano in giro per il mondo altro non è che un retaggio del passato, voi citategli pure Retro Super Future, gli occhiali che piacciono alla gente che piace (li indossano un po’ tutti, da Rihanna a Kanye West, da Beyoncé a Lady Gaga). Distribuiti in venticinque paesi nel mondo, con un posto di riguardo nelle vetrine dei department store che guidano le tendenze e i consumi di moda mondiali, i Retro Super Future nel 2013, anno in cui il brand ha fra l’altro aperto il suo primo negozio monomarca a New York, sono stati venduti in oltre trecentomila esemplari. L’azienda è stata fondata nel 2007 da Daniel Beckerman, milanese di padre inglese, un passato fra editoria e moda, con l’idea di dare un sapore fresco e contemporaneo al più classico degli accessori, coniugando nuove tendenze globali e antiche qualità locali. Da allora ha raddoppiato il fatturato di anno in anno, arrivando a toccare i tredici milioni di euro. La passione per la moda e tutto ciò che ci si può costruire intorno, nel caso di Beckerman, ha origini evidentemente familiari: suo fratello Simon, quarantenne, è infatti la mente dietro a Depop, una delle idee digitali italiane che hanno ottenuto il maggior successo in termini di investimenti e di diffusione. Nata nel 2011, Depop è una sorta di mercatino dell’usato digitale: tutti possono vendere, comprare o scambiarsi capi di abbigliamento, accessori, oggetti di arredamento e quant’altro tramite un’applicazione. Negli anni ha ottenuto attenzione e finanziamenti da fondi di investimento del calibro di Balderton Capital e Holtzbrinck Ventures. A oggi Depop, che nel frattempo ha trovato casa a Londra a dimostrazione della dimensione globale raggiunta, è stata scaricata quasi due milioni di volte. Alla faccia del non ce la faremo mai.

 


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