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Il Foglio sportivo
Quanto sarà verde l'erba di Sinner
Wimbledon aspetta un re nudo dopo il pianto di Parigi. La squalifica gli ha fatto scoprire che nel mondo il tennis non è l’unica cosa gratificante, e ora sa di non essere imbattibile
Il re è nudo. Viva il re. Sono trascorse tre settimane dal lutto. Venti giorni fa, al termine di una finale indimenticabile – per tutti, vincitore, vinto, spettatori –, Jannik Sinner, sconfitto dopo oltre cinque ore di gioco al tie-break del quinto set nella finale del Roland Garros da Carlitos Alcaraz, ha subito una perdita dolorosissima. Non era preparato – forse lo era alla vigilia, quando ogni sportivo mette in conto di perdere, ma non dopo aver avuto tre match point – e gli ha fatto molto male. Anche perché, da quando ha scalato la vetta della classifica mondiale, piantandoci una bandierina che non ha spostato nemmeno lo stop forzato di tre mesi patteggiato con l’agenzia mondiale antidoping Wada per l’ormai notissima contaminazione inconsapevole da Clostebol, è stata la prima.
L’8 giugno scorso, sentendosi improvvisamente solo dentro quel catino ebbro di fatica e di eccitazione sportiva che era lo Chatrier, per la prima volta Jannik Sinner, gli occhi persi nel vuoto, il sudore che si faceva freddo, il rivale di ieri, oggi e, soprattutto domani che sorrideva appagato a pochi metri di distanza, ha perso la sua invincibilità. Ha scoperto che perfino lui, il tennista bionico che conosce solo il lavoro e le vittorie, il ragazzo perbene che ogni mamma vorrebbe come figlio, il volto di una, dieci, cento, mille pubblicità, l’antipersonaggio che è diventato, suo malgrado, il fenomeno nazional-popolare studiato da tutti, anche stimati professori universitari che si arrovellano nel cercare di capire come sia stato possibile che in pochi mesi le gesta di questo ragazzo abbiano soppiantato quelle pallonare perfino al bar, insomma l’ex invincibile Sinner si è reso conto che si può perdere, anche quando si hanno tre match point, se – solo in apparenza paradossalmente – hai troppa voglia di portare a casa quella partita e se dall’altra parte della rete c’è un avversario forte e ambizioso almeno quanto te. Del resto, è esattamente quello che, a parti invertite, accadde a Novak Djokovic nella semifinale della Coppa Davis 2023, e allora pure lui aveva ancora una certa aura di invincibilità.
Non succede, ma se succede… Ecco, si dice, con una delle frasi più abusate dal romanzo sportivo, che le sconfitte aiutino, migliorino, facciano crescere. Insomma, perdere dovrebbe aiutare a non perdere più, o a perdere molto meno (ma è impossibile, qualunque atleta, anche il migliore, nella sua carriera conosce più sconfitte che vittorie). Forse, vale di più quello che il grande regista Luigi Comencini diceva alla figlia Francesca, quando quella ancora faceva fatica a trovare la sua strada nella società: “Fallire, fallire un’altra volta, fallire meno”. Difficile per chi, come il nostro Sinner, si era convinto di essere imbattibile.
E invece, dopo la profonda delusione del Roland Garros, che a caldo nello spogliatoio dello Chatrier produsse un quarto d’ora di pianto a dirotto, Sinner ha cambiato superficie, dalla terra all’erba, ma non registro: sconfitto alla prima apparizione ad Halle, torneo che l’anno scorso vinse in carrozza, da Bublik, certamente un talento (un po’ matto) del tennis (alla fine l’edizione di quest’anno se l’è aggiudicata lui), ma non irresistibile quanto Alcaraz quando ha voglia ed è concentrato, come è stato da un certo punto in poi della finale di Parigi. La Carlito’s way, ormai nota ai più grazie al documentario che Netflix ha dedicato allo spagnolo, fatta di lavoro ma anche piacere, di allenamenti, partite e sacrifici, ma anche vacanze a Ibiza e party in discoteca, è l’altro approccio alla vita che può avere un ventiduenne rispetto a quello apparentemente monacale (in realtà, al riparo da occhi e orecchi indiscreti, anche lui ha le sue avventure), sicuramente maniacale con cui Sinner regola la sua esistenza. Dice, il roscio, che da quando la squalifica gli ha fatto scoprire che nel mondo il tennis non è l’unica cosa gratificante (soprattutto se hai i soldi per fare una guerra), ha imparato a prendersi i suoi spazi. Sarà, ma ci vorrebbe ben altro che fare un paio di flessioni in campo con la Sabalenka tra le grasse risate (hai capito) degli staff o prestarsi a quell’altro simpatico giochino della pallina che accende il fiammifero, esibizioni cui abbiamo assistito in questi giorni di faticoso avvicinamento all’erba di Wimbledon. Dove affronterà al primo turno Luca Nardi in un derby scontato, con la prospettiva di incrociare nei quarti Musetti. E dove, sia detto senza che suoni come sentenza, Alcaraz si è aggiudicato le ultime due edizioni. Poco importa. Più insidioso che da quando Sinner è rientrato dalla sospensione, lo spagnolo abbia vinto più o meno tutto quello che c’era da vincere, mettendosi alle spalle un periodo complicato. Come si usa nel ciclismo quando il tuo avversario cade, lo aspetti, lo stacchi, vinci. Attenzione, Jannik.

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