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Sei Nazioni 2023

Contro il Galles l'Italia ha visto il fantasma della Nazionale passata

Alessandro Ferri

Gli Azzurri avevano la possibilità di vincere la prima partita al Sei Nazioni 2023 contro un Galles in grande crisi. È andata malissimo

C’è una vignetta dei Peanuts in cui Charlie Brown dice: “A volte la notte me ne sto sveglio nel letto e mi chiedo ‘Dove ho sbagliato?’. Poi una voce mi dice ‘Ti ci vorrà più di una notte per questo’”. Se dovessimo sintetizzare al massimo Italia-Galles, non andremmo poi lontani dal genio di Schulz.

Stavolta non ci sono cose da salvare, non c’è niente di buono da cui ripartire.

Il problema è uno: questo Galles è battibile, lo ha dimostrato suo malgrado negli ultimi 13 mesi, ma non è battibile da una squadra che scende in campo con la pressione (che è di varia natura: mediatica, personale, di gruppo) di dover vincere a tutti i costi, perché è l’atto dovuto di un percorso che deve per forza portare a un finale ipoteticamente scritto.

Sabato non è stato così. Ieri, come nei libri belli, quelli scritti dagli autori che si comprano casa con le centinaia di migliaia di copie vendute, il finale è stato inaspettato. Drammaticamente inaspettato. Almeno se si è italiani e non gallesi.

Gli Azzurri non hanno giocato contro un avversario che ha tirato fuori la prestazione incredibile, o che si è giocato il tutto per tutto. No. Il Galles ha fatto la partita che fa da qualche tempo a questa parte. Brutta, sporca, decostruttiva. Ma l’Italia ha fatto peggio, dopo 80 minuti di battaglia con se stessa e col fantasma della nazionale passata, più che con gli avversari.

Tutti pensavano che sostituire Ange Capuozzo sarebbe stato un problema, ma forse Tommaso Allan, che lo ha rimpiazzato come estremo, è stato il migliore in campo dei suoi. Non c’è dunque nemmeno un alibi che possa coprire una partita che è un passo indietro enorme, in termini quantomeno di confidenza nei propri mezzi.

Contro l’Irlanda la difesa non aveva funzionato, ma si erano visti sprazzi offensivi di bel rugby, proprio nell’accezione più estetica del termine. Le immagini della spidercam che riprendono dall’alto lo sviluppo di una ripartenza da rimessa laterale, tutta continuità diretta e sovrapposizioni, sono una poesia non scritta. Poi lì finì 20-34, ma si giocava con la prima al mondo e tutto sommato il risultato ci poteva stare.

Sabato no. Sabato l’Italia aveva davanti una squadra ampiamente alla sua portata, per questo c’è delusione. Sabato all’Olimpico tutta quella bellezza e quella fiducia sono sparite, aspirate come in un buco nero davanti a 61.536 tifosi che si aspettavano di assistere a un’altra cosa, di sicuro non alla manifestazione plastica di un disastro.

E questo non ricada sui giocatori, che hanno dato tutto, con forza e con determinazione, né su coach Crowley, che in conferenza stampa prende una domanda rivolta a capitan Lamaro e decide di rispondere al suo posto, proteggendolo – giustamente – dalle critiche – anche quelle giuste – che arrivano dopo partite del genere.

Se si scende in campo con questo approccio, è difficile vincere, quale che sia l’avversario, in qualunque caso. E l’Italia lo sa bene. 

A Leeds, Coppa del Mondo 2015, si è rischiato un patatrac storico contro il Canada e fortuna ha voluto che alla fine gli Azzurri la spuntassero. Però non si può sempre sperare. Soprattutto perché la speranza non rende merito a un gruppo forte, molto forte, che a sprazzi dimostra di poter mettere in difficoltà chiunque. Il problema è la frequenza.

Rientrare in campo dopo aver chiuso il primo tempo sul 3-22 e segnare dopo pochi minuti con una combinazione meravigliosa Allan-Negri è bene, Pierre Bruno che tre minuti dopo viene graziato e prende “solo” un cartellino giallo (che secondo tanti era rosso) per una gomitata in faccia all’avversario mentre entra palla in mano è male. 61.536 tifosi è bene, 61.536 tifosi delusi (al netto dei circa 10mila gallesi, che tutto sommato hanno passato un sabato gradevole) è male.

Il Sei Nazioni non è finito qui. C’è ancora una partita, molto difficile da giocare: a Edimburgo contro la Scozia, che non è più la Scozia di qualche anno fa, ma la quinta forza del ranking mondiale (record storico per loro).

Si dice sempre che chi non capisce di rugby guarda il risultato, chi capisce guarda la prestazione. Oggi l’Italia ha scontentato gli uni e gli altri, ma non tutto è perduto. Magari la prossima settimana si può fare meglio, si può fare una riflessione seria su cosa non ha funzionato e su come rimediare, più mentalmente che tecnicamente, perché le carenze tecniche sono lo specchio delle fragilità mentali, di un gruppo giovanissimo e deluso da questo Italia-Galles 17-29.

Che questa delusione sia di insegnamento. Per quanto riguarda l’analisi sugli errori, beh, ce lo insegna Schulz: “Ci vorrà più di una notte per questo”.

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