(foto Ansa)

all'olimpico

La Roma batte la Juve in un derby degli opposti attendismi

Giuseppe Pastore

Per 45 minuti le due squadre rinunciano a giocare: poi la stangata di Mancini fa felice Mou e manda all'aria il piano di Allegri. Che adesso deve fare i conti con i borbottii nel suo spogliatoio

Welcome to the jungle! A infiocchettare una domenica di Serie A con più pali (quattro) che gol (tre), ecco a voi Roma-Juventus, dove i due allenatori – simpaticamente definiti “volponi”, nella trasposizione calcistica del celebre detto di Arbasino sui “soliti stronzi” che poi fanno il salto a “venerabili maestri” - decidono razionalmente di annullarsi per 45 minuti. Il primo tempo risulta adorabile agli impallinati della tattica; per tutti gli altri, molto meno. A dire il vero, Mourinho annulla meglio Allegri di quanto accada al contrario: è lui quello sceso in campo senza punte di ruolo, uno schieramento sulla carta abbastanza illogico seppur molto affascinante nella sua radicalità, in cui in certi frangenti il riferimento più avanzato è Wijnaldum, in altri addirittura a volte Pellegrini.

Peggio fa Allegri, che ripropone il suo 5-3-2 con un paio di pezzi da antiquariato come Cuadrado e Alex Sandro, accettando pigramente la volontà di non gioco dell'amico portoghese, che tanto poi al 60' entrano Chiesa e Pogba... E allora buonanotte: l'inaudita stangata di Gianluca Mancini, che non segnava in serie A da quasi due anni esatti (Roma-Genoa del 7 marzo 2021), manda a carte quarantotto il piano non troppo irresistibile di Max, sporca la partita e la spedisce nel terreno fangoso in cui sguazza da sempre il Sergente Mou, oggi meno impetuoso del solito anche nel dugout, frenato dalla spada di Damocle della squalifica sospesa dopo il pasticciaccio di Cremonese-Roma.

 

Dei trentuno giocatori scesi in campo in Roma-Juventus, le punte sono state quattro. Delle quattro punte, tre sono entrate dal 70' in poi. Una ha fatto dentro/fuori in 40 secondi come il famoso meme di Nonno Simpson; Abraham e Belotti sono stati lanciati sul terreno di gioco col preciso scopo di sgobbare, coprire e faticare, e non ci pare di ricordare che abbiano toccato palla nell'area avversaria. Rimane l'anima errante Dusan Vlahovic, che sarà anche recuperato fisicamente ma dal punto di vista mentale sembra distante mille miglia dall'attitudine al purgatorio permanente in cui la Juventus ha suo malgrado accettato di vivere da un mese a questa parte.

 

Malgrado i propositi di maxi-rimonta, sempre più irraggiungibili, le parole di Allegri nel post-partita lasciano trapelare un sotterraneo nervosismo di diversi giocatori: c'è chi come Kean non fa molto per tenerlo nascosto, esibendosi in un censurabile remake del celebre calcione di Totti a Balotelli. C'è chi – e probabilmente è il caso del centravanti serbo – dentro di sé vorrebbe essere da un'altra parte, poco supportato da una squadra sempre a trazione posteriore, poco aiutato da una fragilità strutturale che ce lo consegna all'esterno sempre malmostoso, avvilito, nemmeno aiutato dalle circostanze come nel caso della clamorosa traversa contro il Torino. E allora come si fa? Non ci si può sempre aggrappare al genio di Angel Di Maria o alla diligente puntualità dei Kostic e dei Danilo, se ogni tanto la fortuna guarda dall'altra parte. “Pensi che la tua squadra sia pronta a giocare con il 4-3-3?”, ha chiesto Barzagli ad Allegri nel salotto di DAZN, alludendo ai recuperi di Pogba e Chiesa, i cui rientri procedono comunque molto a rilento. Ma ormai è marzo, la primavera è alle porte e alla Juventus rimane una sfilza chissà quanto lunga di mercoledì e giovedì, senza contare le ulteriori vicende extra-campo di cui torneremo purtroppo a occuparci dopo Pasqua. La Juve rimane immersa in questa collosa quaresima che nel suo caso è iniziata ben prima del 22 febbraio.

 

La Roma ribalta i propri orizzonti per la seconda volta in una settimana: dopo Cremona sembrava tutto da buttare, ma il furbo Serra-Gate agitato da Mourinho e cavalcato dai media è servito a occultare le tante mancanze di martedì sera. Stavolta, tutto l'opposto: da un anno la Roma sta consumando una luna di miele col suo pubblico e con l'Olimpico ancora più clamorosa di quella delle due milanesi, le uniche altre due squadre che riempiono lo stadio sempre e comunque. Certo, la vittoria in Conference League ha avuto il suo peso: ma c'è un amore incondizionato che va ben oltre la scarsa qualità del gioco giallorosso ed evidentemente ha a che fare con il suo condottiero, formidabile incantatore di serpenti di cui però aveva bisogno il pubblico romanista, che da sempre subisce il fascino intramontabile dei profeti, falsi o veri che siano. E l'inno di Venditti sembra un coro gospel, e il celebre detto “La Roma non si discute, si ama” non è mai stato concreto come in questa stagione, e i giocatori in campo respirano quest'atmosfera e tirano fuori una cazzimma ammirevole, soprattutto da parte di quei giocatori letteralmente inventati da Mourinho, come Zalewski e Ibanez (s'è rivisto persino Karsdorp, massacrato mediaticamente da Mou a novembre).

 

In questo contesto, non è casuale che il gol decisivo provenga dal piede poco nobile di Gianluca Mancini, eppure capace di un assist bonucciano a Spinazzola martedì sera e ora di una fiondata para-tottiana, tra l'altro per decidere un Roma-Juventus. Mancini è un giocatore normalmente modesto, poco considerato anche dal suo omonimo ct che in Nazionale lo convoca molto di rado; ma sottolineiamo l'avverbio normalmente, perché la grandezza di Mourinho è prendere dei contesti normali e renderli eccezionali, per poi – e questo è il secondo step – prolungare quest'eccezionalità il più possibile. Non dimentichiamo che Mancini indossa la maglia numero 23 e si è addirittura tatuato sulla pelle il numero 23 in omaggio al suo idolo Marco Materazzi, uno che quando parla di Mourinho sembra sempre che stia per intestargli qualche sua proprietà di valore.

È facile fare due più due: formidabile manipolatore, Mourinho si sposa bene con questo tipo di personalità, giocatori incompleti se non proprio incompiuti, che hanno bisogno di una guida da seguire come un faro nel buio per esprimersi al meglio. Mourinho è tutto questo, né più né meno: non gli vedremo mai, o mai più, fare un gioco da palati fini, ma nelle notti di coltello senza luna lo troveremo sempre a bordo ring. Intanto è al quarto posto e ha ripreso il Milan, una squadra che ragiona tutto al contrario. L'Inter si è rimessa in regola, la Lazio ha stupito il campionato passando con merito a Napoli, l'Atalanta è in fase calante. Ma tutto questo solo nelle ultime 48 ore: tra una settimana, complici le Coppe, prepariamoci ad assistere ancora a qualcosa di completamente diverso.

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