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Zidane, le tensioni nascoste e il momento “Optì Pobà” del calcio francese

Maurizio Crippa

Il pasticcio del presidente Le Graët e le nostre risse in autogrill. "Se mi ha chiamato? Certo che no, non gli avrei nemmeno risposto al telefono" ha detto su Zizou. Mbappé il primo a reagire: "È la Francia"

Si potrebbe desumerne che ogni Federcalcio ha il suo “Optì Pobà”, indimenticata onomatopea un cicinìn razzista del fu presidente della Federazione italiana giuoco calcio, Carlo Tavecchio. Del resto anche lui nordista (brianzolo) e sgangherato nella comunicazione quanto il suo omologo francese, Noël Le Graët, bretone ruvido che s’è scolpito da sé la sua biografia fino a presidente di lunghissimo corso della Fédération française de football. Solo che prima di andarsi a schiantare contro una testata di Zidane, Le Graët nel suo personale palmares aveva messo qualcosa in più, e del resto il calcio francese da molto sta messo un tantino meglio.

 

Partito funzionario delle imposte da un piccolo borgo della Côtes-d’Armor, di quelli che avrebbero immalinconito persino Simenon, s’era fatto imprenditore agroalimentare di successo, aveva portato la squadretta di Guingamp fino al professionismo e alla conquista di una Coppa di Francia (la loro “bella stagione”) ed era diventato sindaco in quota socialista. Un Bernard Tapie per quanto minore, e del resto quello era marsigliese: con un bretone, il giorno e la notte. C’entrerà pure questo, anche Zinédine Zidane è marsigliese, ma il momento “Optì Pobà”, lo scivolone con puzzetta di razzismo, è arrivato anche per Noël Le Graët.

 

Solo che mentre in Italia sono cose sempre un po’ così, alla tarallucci e vino, e a prenderle di punta al massimo c’è qualche editorialista della Stampa, nella République la questione razziale, nello sport, è materia incandescente. E quando non scoppia nelle banlieue si sublima attorno alla mitologia della nazionale, dei Bleus, per lungo tempo bandiera del riuscito crogiolo multietnico francese. Non è semplicissimo, per noi italiani abituati al nostro calcio scalcagnato, che ormai riesce a farsi nazione solo nei momenti del lutto, capire la Francia e i Bleus.

 

Persino in Brasile i bolsonari danno l’assalto al Parlamento con la maglietta verdeoro, l’unica cosa che unisca il paese; da noi la circolazione delle idee nello sport non esiste, il dibattito lo fanno le tifoserie teppiste che si danno appuntamento agli autogrill, bardati come squadroni della morte per regolare conti animaleschi o malavitosi che con le appartenenze calcistiche non c’entrano nemmeno. Dalle squadre allo squadrismo, questa è l’Italia. In Francia hanno la tendenza a farne sempre questioni universali, l’identità lì è qualcosa di più serio della curva della Roma o del Napoli. Così da anni si sa che nel Sacro Graal della popolo, i Bleus, le tensioni non mancavano.

 

La componente di pigmentazione bianca, i francesi per ius pantonis – Giroud, Rabiot, Griezman – non vanno molto d’accordo con i black e i beur. Lo scazzo tra Deschamps e l’algerino Benzema, escluso dai Mondiali, o i veleni di spogliatoio fatti filtrare (pare) da Pavard, avevano minato l’avventura in Qatar. Così il momento “Optì Pogbà” è scattato per il presidente della Fédération che aveva appena rinnovato il contratto a Deschamps, sergente-maggiore basco di Bayonne, bravo ça va sans dire ma non amatissimo da tutte le tifoserie multietniche francesi.

 

In tanti speravano potesse scegliere Zidane, che oltre a essere stato uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi è un signore di poche parole che ha vinto tre Champions di fila con il Real Madrid. Da un anno ha lasciato ogni impegno, si gode il buen retiro con la sua famiglia in stile patriarcale, ha quattro figli ed è già nonno, e per molti il campione marsigliese di origini algerine era l’uomo giusto. E così eccolo: “Se Zidane mi ha chiamato? Certo che no, non gli avrei nemmeno risposto al telefono”, ha detto Le Graet.

 

“È disoccupato? Me ne sbatto”. Trattare Zidane come fosse un servo di scena non è stata una buona idea. Il primo a esplodere è stato Mbappé, “Zidane è la Francia, non manchiamo di rispetto alla leggenda in questo modo”, ha scritto mandando  a quel paese il presidente. E poi tutti gli altri, compreso il suo ex club, il Real, con un comunicato che sembra una dichiarazione di guerra, e ovviamente la ministra dello Sport, Amélie Oudéa-Castera, che ha chiesto immediate scuse in nome della République e della Grandeur. Il bretone incauto le ha prontamente apparecchiate, ma nell’incandescente mondo francese, in cui il calcio è la cassa si risonanza di ben altro, non è detto che finisca lì. In Italia ce la saremmo cavata con qualche comunicato delle curve, un’intervista a Saviano, una bella scazzottata sulla A1. C’est la vie.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"