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L'intervista

La vita in barca a vela di Giancarlo Pedote vissuta “giorno per giorno”

Gabriele Spangaro

L'approccio allo sport, i piani e le sfide per il futuro, la passione per la scrittura e la divulgazione. Il velista si racconta 

Giancarlo Pedote è uno dei più noti velisti italiani e del mondo. Tra novembre 2020 e gennaio 2021 ha concluso il Vandée Globe, una regata che consiste nel giro del mondo senza scalo e senza assistenza con partenza e arrivo a Sables d'Olonne, nel dipartimento della Vandea della regione dei Paesi della Loira, nel nord ovest della Francia. A bordo dell’Imoca 60 Prysmian Group, un monoscafo ultratecnologico di 60 piedi, circa 18 metri di lunghezza, ha recentemente concluso, alla fine dello scorso novembre, la Rotta del rum - destinazione Guadalupa, una regata transatlantica con partenza da Saint-Malò e arrivo, appunto, in Guadalupa, nei Caraibi. 

Si potrebbe pensare che questa sia stata una regata sfortunata a causa dello sguarcio della principale vela di prua, il J2, e la sostituzione obbligata con un’altra vela, il J3, di dimensione notevolmente minore. “Sfortunata sì ma anche no", precisa Pedote, "perché sapevo che avrei dovuto cambiare le vele, ma averle nuove non è stato possibile”.

In questa chiacchierata con il Foglio, il velista pone l'accento su due fattori per il suo futuro: il primo è la necessità di altri sponsor che si affianchino a Prysmian, il solido partner con cui ha girato il mondo, e che consentano all’imbarcazione di essere più competitiva. “Non abbiamo i mezzi economici per paragonarci ai grandi team” dice, perché “a competere con noi ci sono progetti giganteschi in termini sia di preparazione della barca che di management del progetto”. Il secondo fattore chiave è che la squadra stessa possa crescere. “Avere una squadra di almeno 10 persone ci permetterebbe di fare il salto che sportivamente io aspetto da tanto”, perché consentirebbe di sviluppare il settore dell’analisi dei dati, che in altri progetti conta su diverse persone dedicate e che è il cosiddetto “lavoro a terra”. “La velocità che guadagni con un buon lavoro a terra e nel perfezionamento delle regolazioni nell’oceano cresce in maniera esponenziale e fa la differenza”, spiega Pedote al Foglio.

Ma oltre e di fianco al progetto sportivo, soprattutto negli ultimi due anni, il velista si è particolarmente impegnato e distinto anche nella narrazione che lui stesso fa del suo sport, sia attraverso un canale tradizionale come la scrittura – ha già scritto un libro, L’anima nell’Oceano, edito Mondadori Electa, in cui ha racchiuso le sensazioni, le paure e le scoperte su se stesso e sui mari che ha solcato durante il giro del mondo durato 80 giorni, e altri due manuali di vela – sia attraverso la diffusione di contenuti sul web.

La vela è uno sport scientifico, che possiede un suo linguaggio. Perciò, raccontare a chi non è dell’ambiente significa anche fare divulgazione, rendere fruibile un mondo a un pubblico sempre più ampio. Giancarlo Pedote lo fa, anche se specifica che “non si mette in cattedra per parlare al mondo” e i numeri confermano che il pubblico di cui si parla è un pubblico di nicchia: poco più di 6 mila gli iscritti al suo canale Youtube e 17.600 i follower su Instagram. Nonostante questo, le esperienze e il loro racconto da parte di Pedote superano l'orizzonte del pubblico interessato alla vela, se non altro perché possono essere un filtro per l’esperienza di vita di chiunque.

Murakami nel suo L’arte di correre diceva che è nella corsa sulle lunghe distanze che “la fatica è una realtà inevitabile ma la possibilità di farcela o meno è a esclusiva discrezione di ogni individuo”. Pedote in fondo è un maratoneta del mare, il cui approccio da sportivo professionista è trasportabile, con le dovute considerazioni sul contesto, alla vita di tutti i giorni. Ognuno trova ostacoli, ma la l’approccio è una scelta.

Un esempio? A bordo di Prysmian group la vita è ridotta all’essenziale, non c’è un bagno, la cucina è un fornellino basculante e per la navigazione notturna, quando non è in solitaria, all’equipaggio sono imposti dei microsonni, cioè sonni di mezz’ora, massimo un’ora, su una brandina in carbonio, alternati a turni di veglia e regolazioni delle vele. Quando gli abbiamo chiesto come avesse fatto a vivere in questo modo per 80 giorni di fila, la sua risposta è apparsa ovvia, ma a un secondo ascolto riassumeva un’esperienza di vita: “Giorno per giorno”.

Per Pedote il suo progetto “è una certezza, è una macchina che dove vuoi che vada lei va”, eppure “non esiste lo standby, c’è sempre da migliorare”. Non è il costante tendere al miglioramento la chiave del successo, emerge dalle sue parole, ma l’equilibrio tra chiedere sempre qualcosa in più a se stessi e ai collaboratori e rendersi conto di che punto è stato raggiunto. Non c’è una finale da giocare per alzare la coppa, è una sfida a un’ambizione. E come esempio si potrebbe citare l’idea di fare il giro del mondo in vela senza soste. È facile considerare la partenza per il Vandée globe come l’inizio di un’impresa tanto grande quanto pericolosa, eppure le parole dello stesso velista la descrivono come rendersi conto di “essere già a metà cammino”.

Quella di Pedote è una vita sportiva paradossale, accompagnata da una tecnologia che gli permette “di controllare tutto ciò che è controllabile”, ma allo stesso tempo immersa – letteralmente – in quanto di più essenziale esista sul pianeta Terra.

Attraverso la sua presenza sul web, sui suoi canali o in quelli altrui, ad esempio su quello di Emalloru, regista piuttosto conosciuto nella community italiana di Youtube, Pedote trasmette tutto questo sia a chi conosce il mondo della vela sia a chi non sa cosa significhi “cazzare la randa”.

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