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Francia-Polonia: consigli antidepressivi per battere i transalpini

Gino Cervi

Il risultato della partita degli ottavi di finali sembra scontato, ma forse scontato non è. Molti polacchi nella storia hanno trovato la consacrazione del loro talento proprio quando hanno avuto a che fare con la Francia

Domenica pomeriggio alle 16 si gioca Francia-Polonia, un ottavo di finale dall’esito apparentemente scontato, a vedere il percorso delle due squadre nel girone eliminatorio. I francesi hanno giocato in souplesse, liquidando gli australiani per 4-1 e regolando di misura, ma senza mai rischiare, i danesi per 2-1; quindi concedendosi, nell’ultima ininfluente partita, la sufficienza di farsi battere per la prima volta dalla Tunisia. I polacchi, invece, sono passati per il rotto della cuffia – leggi miglior differenza-reti nei confronti del Messico – esibendo nel gioco una preoccupante inclinazione depressiva. Di fatto sono stati salvati da uno Szczesny come i tifosi juventini – oggi angosciati da ben altri problemi – neppure si ricordano più: due rigori parati, di cui uno a Messi, e un’altra mezza dozzina di interventi salvavita.

 

Detta così, la partita sembrerebbe avere un esito abbastanza scontato. Sappiamo che, per fortuna, nel calcio non è mai detto, tuttavia Lewandowski e compagnia per ribaltare il pronostico dovrebbero mettere in gioco arti applicate ben più nobili di quelle fin qui mostrate. E forse votarsi ai molti polacchi che, nella storia, hanno trovato la consacrazione del loro talento e, talvolta, una nuova patria che ne ha celebrato il successo proprio quando hanno avuto a che fare con la Francia.

 

Ecco, tra questi, non mi affiderei forse a Jan Potocki (1761-1815). Capitano dell’esercito, diplomatico, massone, viaggiatore a cavallo e in mongolfiera, precursore dell’etnolinguistica, il conte Potocki fu uomo dalla vita più avventurosa e romanzesca del suo pur avventuroso e romanzesco capolavoro, Manoscritto trovato a Saragozza (1805 e 1813), scritto appunto in lingua francese. Ma pure lui era afflitto dalla depressione, tanto che gli ultimi anni della sua vita li passò a levigare una fragola cesellata in argento che aveva staccato da una teiera e, giorno dopo giorno, fino a ridurla a una pallottola perfetta, il proiettile di cui aveva bisogno. Quando decise che era giunta l’ora, la fece benedire dal prete di Uładówka, un villaggio della Podolia - regione storica oggi in territorio ucraino ma all’epoca oggetto della spartizione del grande regno polacco tra impero russo e asburgico – , e poi la infilò nella canna di una pistola. Quindi si ritirò nel suo studio e si sparò in colpo in testa.

   

Non che, a dire il vero, ebbe una vita felicissima neppure un altro polacco che a vent’anni, e già famoso in mezza Europa, scelse Parigi come sua casa. Fryderyk Franciszek Chopin (Zelavowa Wola 1810-Parigi 1849), che divenne ben presto Frédéric François Chopin, era figlio di un francese emigrato in Polonia per fare l’aio presso le famiglie dell’aristocrazia di Varsavia. Anche Chopin, in effetti, morì annichilito dalla tubercolosi e dalla depressione. I francesi, che per lui stravedevano, gli celebrarono un sontuoso funerale alla chiesa della Madeleine e lo seppellirono al Père-Lachaise. Ma il suo cuore sta a Varsavia, nella chiesa, appunto, del Sacro Cuore.

 

Forse sarebbe più efficace mettere in campo il genio scientifico di Maria Salomea Skłodowska (Varsavia 1867-Parigi 1934), ovvero di Marie Curie: un po’ di radioattività potrebbe rianimare l’opaca compagine biancorossa di questo Mondiale e, forse, il suo doppio Nobel ispirare una doppietta all’intristito Lewandowski e i suoi trentatré isotopi di polonio.

  

Ma la soluzione, forse, sta nei nomi. Quando l'11 dicembre 1874, Józef Korzeniowski, nato diciassette anni prima Berdyčiv, o forse, a seconda delle fonti, nella tenuta di Derebczynka – e comunque sempre in quella parte di Polonia che si era annessa la Russia zarista - si stava imbarcando nel porto di Marsiglia su un vecchio bastimento a vela, il Mont Blanc, che avrebbe rotta per la Martinica, Indie Occidentali, non sapeva che in quel preciso istante stava per iniziare la sua vita di uomo di mare. Quasi vent’anni dopo, il 20 dicembre 1893, lo stesso Józef Korzeniowski, nel frattempo divenuto capitano della Marina britannica, mentre era in attesa di prendere il comando del piroscafo franco-canadese dell'Adowa, che da mesi era alla fonda nel porto di Rouen, scriveva in una lettera queste parole: "È vero che la vita qui non è molto divertente, ma una volta che sono pagato per annoiarmi! Tuttavia ciò non risolve nulla e comincio a sentirmi vecchio. Se si intende vivere, bisogna sistemarsi in qualche luogo. A dire il vero non ne vedo la necessità, ma d'altra parte non me la sento di bere arsenico o di buttarmi in mare. Dunque occorre che mi sistemi", si capisce che per un polacco il male oscuro è davvero sempre in agguato. Lo scriveva ma non sapeva che di lì a poco avrebbe trovato la sua “sistemazione” non più sul ponte di comando di un vascello o di un piroscafo lungo una rotta commerciale transoceanica, ma in un molto meno avventuroso domicilio di terraferma, nella campagna inglese. Qui, per trent'anni a seguire, avrebbe scritto una quarantina di libri, tra romanzi, racconti e memorie di vita marinara, e sarebbe diventato famoso in tutto il mondo firmandosi con il suo nuovo nome: Joseph Conrad (1857-1924).

  

Se il prezzo del successo, ma soprattutto della fuga dalla depressione passa per un nuovo nome, il suggerimento è che nella distinta pre-gara delle formazioni che sarà consegnata all’arbitro Robert Lewandowski compaia come Robert Lewa. L’abbreviazione di un poco pronunciabile cognome ha del resto portato fortuna, come settant’anni fa, a Raymond Kopaszewski (1931-2017), figlio di emigranti polacchi arrivati nel 1919 a lavorare nelle miniere a Noeux-les-Mines, nel Pas-de-Calais, che come Raymond Kopa, divenne uno dei più forti attaccanti al mondo con la maglia dello Stade Reims e del grande Real Madrid – tre Coppe dei Campioni e un Pallone d’oro, nel 1958. Peccato però che Kopa avesse scelto la Francia.  

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