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Al nono Mondiale di fila la Corea del sud non dimentica gli “eroi” perdenti

Andrea Trapani

La Nazionale asiatica è ormai un'habitué della Coppa del mondo. Nel 2002, nella rassegna iridata giocata in casa (e in Giappone) si piazzò al quarto posto. Eppure i riferimenti calcistici sono ancora quei calciatori che nel 1954 attraversarono il mondo per subire sedici gol in Svizzera

Nove Mondiali consecutivi sono una striscia della quale si può fregiare ben poche Nazionali. Una di queste è la Corea del Sud. Non è una sorpresa, la squadra di Seul è una presenza costante dal 1986 ma per un cortocircuito geopolitico è la prima partecipazione in assoluto, quella del 1954, ad aver scritto la storia del calcio coreano. Parliamo della Coppa del mondo in Svizzera: l’esordio mondiale è la cronaca di un’impresa che ancora oggi unisce mito e storia, calcio e logistica, orgoglio nazionale e riscatto sociale.

 

Un racconto che inizia con l’arrivo del calcio in Corea grazie a una nave da guerra britannica, l'Hms Flying Fish, che si trovava nel porto dell'odierna Incheon. Gli impazienti marinai britannici decisero, per passare il tempo, di prendere a calci un pallone ma, infastiditi dagli spazi ristretti del molo, cercarono un terreno più adatto dove furono cacciati dai soldati del regno di Joseon. Lì abbandonarono due palloni di cuoio che furono utilizzati dai primi studenti che diedero vita al calcio coreano. Ci sono tante incongruenze in questo racconto, gli storici dicono che forse nel 1882 la Hms Flying Fish non era attraccata lì, ma tanto la Kfa quanto la Royal Navy negli anni hanno dato legittimità a questa serie di eventi. Mito o meno, passano i decenni e il calcio diventa una cosa seria: vuoi per la semplicità di questo sport, vuoi per le distrazioni che concedeva dall'occupazione giapponese. 

 

Una volta finita la guerra, la Nazionale esordì a Hong Kong, il 6 luglio 1948, vincendo 5-1, qualificandosi per le Olimpiadi di Londra. Il movimento non fece in tempo ad affermarsi che si fermò per il conflitto coreano. Non ci furono partite fino al 1953 ma il calcio non era stato dimenticato. Quando la squadra sudcoreana si ritrovò nel 1954, alla fine della guerra civile, il destino sorteggiò il Giappone per lo spareggio che dava un posto ai Mondiali elvetici. 

 

Una sfida nella sfida per una qualificazione che non sarebbe stata solo una battaglia sul campo, ma anche un incubo logistico. Se da un lato la neonata Corea del Sud, ferita e malconcia, stava cercando di crescere, dall’altro il Giappone rimaneva la grande favorita per una qualificazione che, per le regole Fifa, doveva essere giocata tra andata e ritorno. La posizione dell’allora presidente Syngman Rhee aveva messo a rischio la partecipazione visto che, a meno di un decennio dalla fine dell’occupazione coloniale, non voleva che la squadra giapponese mettesse piede sul territorio coreano. Alla fine si trovò un accordo grazie al lavoro diplomatico dell’allenatore Lee Yoo-seong: entrambe le partite di qualificazione si sarebbero giocate a Tokyo. Salvato l’onore nazionale, nell’andata arrivò una vittoria per 5-1 che valse anche da riscatto sportivo. Dopo la formalità del secondo incontro, rimaneva un altro problema da superare. Non esistendo ancora voli internazionali in partenza da Seul, la federazione coreana si rivolse all'aeronautica americana per raggiungere l’Europa. L’11 giugno 1954 i convocati partirono in treno dalla capitale per un viaggio infinito che ebbe come prima tappa il porto di Busan dove una nave li avrebbe portati, per un beffardo destino, ancora in Giappone. Peccato che il primo volo previsto, un aereo militare americano con base a Tokyo, poteva accogliere solo 11 giocatori: due giorni di viaggio con soste per il rifornimento a Manila, Hanoi, Calcutta, Karachi, Siria e perfino in Italia. Non andò meglio a chi era sul secondo aereo arrivato a Zurigo appena poche ore prima della partita, tra jet lag e muscoli massacrati dalla stanchezza. Circostanze che non aiutarono i coreani: se battere il Giappone fu facile, confrontarsi con l'Ungheria di Puskas si rilevò un’impresa impossibile. Arrivò un 9-0 con un dominio tale dei magiari che alcuni giocatori crollarono esausti nel secondo tempo. I campioni olimpici in carica non mostrarono alcuna pietà, come del resto neppure i turchi nella seconda e ultima partita di quella Coppa del mondo. L’avventura in Svizzera si concluse con sedici gol subiti e zero segnati, ma ancora oggi sono gli “eroi del 54”.

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