Il Foglio sportivo
Per un'Ora di Ganna
L’italiano tenta di stabilire il nuovo Record dell'Ora. E a ridare fascino a una disciplina che ha fatto la storia del ciclismo cercando di riunire il Record dell'Ora e la miglior prestazione umana sull'Ora
È una bella fetta di tempo un’ora. Un ventiquattresimo di un giorno, abbastanza per fare parecchie cose o farne nessuna: si può anche concedersene una d’ozio. E poco importa se Norman Mailer sosteneva che per oziare a sufficienza il tempo si dovesse calcolare in multipli di tre quarti d’ora, mai l’unità intera: troppo militaresca l’ora per conciliarla con il far niente.
Un’ora però non basta per uscire in bicicletta, ci vuole più tempo, ci si scalda appena in un’ora. Certo in mancanza di altro meglio poco che nulla, ma è mai cosa buona e giusta accontentarsi, meglio il più, se si può, al meno. A volte però un’ora basta e avanza, soprattutto in un velodromo. E mica è solo una questione di pedalate, ha a che fare una storia lunga e incredibile, quella di chi in un’ora esatta, né un secondo in più né uno in meno, pedala per coprire la maggiore distanza possibile.
Il primo fu Henri Desgrange al velodromo Buffalo, Parigi: 35,325 chilometri. L’ultimo Dan Bigham, pistard britannico e performance engineer – colui che ha il compito di ottimizzare le prestazioni aerodinamiche degli atleti – della Ineos Grenadiers: 55,548 chilometri. Il prossimo sarà Filippo Ganna, che per la Ineos Grenadiers corre, sabato 8 ottobre alle ore 20 al Tissot Velodrome di Grenchen, Svizzera.
Ultimo tassello di un romanzo iniziato l’11 maggio del 1893, dieci anni e qualche mese prima del via del primo Tour de France. Erano anni nei quali nel ciclismo toccava inventarsi (quasi) tutto, anche le gare. Desgrange se ne inventò parecchie, due su tutte diventarono mito: la Grande Boucle e il Record dell’Ora.
Per anni Tour de France e Record dell’Ora andarono di pari passo. Il primo era il massimo delle corse a tappe di tre settimane, il secondo il massimo e basta, una prova al limite delle capacità umane, nella quale si misuravano grandi passisti e grandissimi campioni, perché un campione non era un grande campione, se non si cimentava, conquistava, abbatteva, il Record dell’Ora.
S’è un po’ persa questa aura con gli anni, s’è ristretto il Record del’Ora e s’è mica capito perché. O forse sì, forse ora le squadre sono più squadre che una volta, i soldi più importanti di un tempo, i risultati, quelli da cogliere, sono altrove e quattro (o parecchi di più) mesi di lavoro specifico per preparare un’ora di pedalate a tutta in un velodromo scaldano meno il cuore di un tempo, soprattutto degli sponsor. Oppure è stata solo una pausa che ci si è presi, un allontanamento dalla pista, una parentesi che si sta a poco a poco chiudendo, visto che i velodromi stanno tornando a riempirsi e di corse ce ne sono qualcuna in più rispetto al decennio scorso.
È parecchio complicato capire il perché un avvenimento un tempo imperdibile è diventato perdibile, è ancor più complesso spiegarlo. Quel che è certo è che la sparizione del Record dell'Ora dalle agende dei campioni non è avvenuta in un momento preciso, è una cosa che misteriosamente accade come la comparsa dei biscotti Togo al cioccolato, direbbero gli Offlaga disco pax.
Quel che è certo che l'Uci ci ha messo del suo a smonare la magia del Record dell'Ora (che Coppi contribuì ad accrescere stabilendo nei giorni in cui a Milano piovevano bombe alleate), decidendo un giorno, era il 2000, che l'uomo doveva essere scisso dalla bicicletta, ossia stabilendo che in un mondo che va avanti e che innova, la bicicletta dovesse fermarsi e restare cristallizzata nel tempo. Si erse a Camera dei Comuni inglese e decise di scindere l’Ora in due: da una parte l’Ora legale, il Record dell’Ora, dall’altra l’Ora solare (o illegale), la Miglior prestazione umana sull’Ora. Il discrimine era la bicicletta: se una assomigliava a una bicicletta tradizionale allora rientrava nella prima categoria, nel caso contrario si entrava nella seconda. Da Francesco Moser, 50,808 poi divenuto 51,151 chilometri (che cifra!), a Chris Boardman, 56,375 chilometri, nove record e cinque atleti furono declassati.
Ora è tempo di tentare di riunire quello che l’Uci ha diviso.
Filippo Ganna punta al Record dell’Ora, può batterlo, può, difficile ma non impossibile, chiudere ventidue anni di una commedia che non faceva ridere. E iniziare un nuovo corso. Una nuova storia che punta al futuro ripartendo dal passato, superando il passato.
Filippo Ganna si siederà sulla sella di una bicicletta che ricorda le forme tradizionali di una bicicletta, ma che di tradizionale non ha nulla. È un’opera d’arte di altissima ingegneria: il telaio stampato con una stampante 3D utilizzando una lega di scandio, alluminio e magnesio, materiale di derivazione aerospaziale. Un passo in avanti assoluto nel campo della aerodinamica e della produzione artigianal-industriale, con innovazioni “prese in prestito” dalle magattere: sono state riprodotte nel telaio le sporgenze tipiche della parte inferiore delle pinne (tubercoli) di questo cetaceo, per ridurre la resistenza aerodinamica lì dove non è stata mai diminuita, nel triangolo del telaio.
A muovere questa bicicletta saranno comunque le gambe di Filippo Ganna. Va mai avanti da sola la bicicletta. L'evoluzione tecnologica aiuta, non risolve i problemi. E se Filippo Ganna riuscirà a riunire i due record, sarà la miglior notizia per il ciclismo. L’inizio, forse, di una nuova epoca d’oro del Record dell’Ora. Il momento nel quale saranno le aziende che producono biciclette a dire ai campioni: allora lo facciamo ‘sto Record?
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