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La vittoria dello US Open di Matt Fitzpatrick è un salto temporale

Corrado Beldì

Un trionfo che parte da lontano, da una foto in bianco e nero scattata il 20 settembre 1913, il giorno in cui il golf divenne uno sport popolare e dunque globale. Una vittoria che potrebbe segnare uno spartiacque in un’epoca in cui il mondo del golf sta cercando l’erede di Tiger Woods

La storia si ripete nel più incredibile dei modi e a posteriori sembra il risultato più normale visti i corsi e ricorsi storici accaduti in passato al Brookline Country Club. Un allineamento perfetto dei pianeti ha portato Matt Fitzpatrick, talento inglese di 27 anni a trionfare nella 122ª edizione dello US Open, il primo major championship della sua giovane carriera. Un trionfo che parte da lontano, da una foto in bianco e nero scattata il 20 settembre 1913 proprio qui, davanti alla storica club house, il giorno in cui il golf divenne uno sport popolare e dunque globale.

  

Siamo a due passi da Boston, nel Massachusetts, terra di ottimi bagels e di organic farms. Qui il golf si è sviluppato a partire dal 1882, un percorso disegnato dagli scozzesi, tra i cento più belli degli Stati Uniti. Un percorso pieno di insidie, green in pendenza e tre lunghi par-3 cui si aggiunge l’insidiosa 16 oltre a quattro buche cieche, si gioca senza punti di riferimento, la pallina vola e sparisce dietro ai dossi e per sapere com’è andata devi attendere la reazione del pubblico. Si gioca a Brookline per la quarta volta, qui lo US Open si è sempre deciso al play-off, nel 1988 Curtis Strange stese Nick Faldo, nel 1963 Julius Boros superò Arnold Palmer e Jacky Cupit ma il finale più imprevisto resta quello del 1913 che non a caso ispirò “The Greatest Game Ever Played” il film di Bill Paxton con Shia LaBeouf dedicato alla vittoria di Francis Ouimet, la partita più famosa nella storia del golf.

   

Qui a Brookline ne parlano ancora tutti, Ouimet aveva vent’anni e il suo caddy Eddie Lowery esattamente la metà, era un ragazzo povero, viveva a pochi metri dal campo e aveva imparato a giocare di notte, con le palline perse dagli altri. Per poter giocare chiese due giorni di ferie. Come perdere l’occasione di vedere da vicino i due più grandi giocatori del tempo, Harry Vardon, in transatlantico dal Regno Unito e Ted Ray, campione americano in carica? Francis Ouimet vinse contro ogni pronostico e divenne un eroe nazionale, una impresa clamorosa che finì sulle prime pagine in tutto il mondo, fece impennare il numero dei giocatori e gettò le basi per il golf moderno.

   

Chissà se Matt Fitzpatrick riuscirà a farsi fare una fotografia come quella di Ouimet, è ben incorniciata nel grande soggiorno del circolo e ci sono tutti gli amici di quella indimenticabile giornata, il caddy con l’asciugamano bianco attorno al collo, tanti cravattini e una mano che in seconda fila solleva un ferro di cavallo. Un portafortuna che non ha smesso di funzionare e ieri d’un tratto è diventato a colori. D’altra parte proprio qui al Brookline Country Club nel 2013 Fitzpatrick ha vinto lo US Amateur, un secolo esatto dopo Ouimet e proprio qui, domenica pomeriggio, ha trionfato nello US Open, unico giocatore ad aver vinto entrambi i titoli sullo stesso campo, come Jack Nicklaus a Pebble Beach esattamente cinquant’anni fa. Corsi e ricorsi storici.

 

Una vittoria che potrebbe segnare uno spartiacque in un’epoca in cui il mondo del golf sta cercando l’erede di Tiger Woods. Quattro giorni di battaglia con tutti i più forti in campo, ovviamente Scottie Scheffler che sognava di vincere il torneo di casa da numero uno al mondo, Jon Rahm che voleva il bis dopo il successo di Torrey Pines, il nostro amatissimo Rory McIlroy, ancora una volta tra i primi, fino alle ultime nove buche e il silenzioso Hideki Matsuyama, un perfetto 65 senza nemmeno un bogey per chiudere il torneo tre giri sotto il par, non abbastanza per vincere il torneo. Avrebbe potuto stupire anche Guido Migliozzi, dopo il quarto posto d’anno scorso e una stagione insipida, ieri finalmente un’ottima prestazione, quattordicesimo alla fine ma troppi errori sul green, altrimenti poteva essere della partita.

 

Alla fine il vero duello è stato tra Matt Fitzpatrick e Will Zalatoris, astro nascente del golf americano, incollati per 54 buche in una sfida avvincente in cui solo qualche dettaglio ha fatto prendere la sorte da questa parte dell’oceano, probabilmente quel legno perfetto alla 13 e poi il putt imbucato da 50 piedi e ancora da 20 piedi alla 15. Solo un’incertezza all’ultima buca, bunker sulla sinistra dal tee per Fitzpatrick ma poi uno splendido ferro sette col backspin che a molti ha ricordato il memorabile colpo di Sandy Lyle al Masters del 1988.

 

Will Zalatoris a quel punto ha avuto l’ultima occasione per raggiungerlo alla 72ª buca, un putt da poco più di cinque metri, sapeva che in quel punto si finisce sempre per allargare ed è spesso così quando la pressione arriva al massimo, ci ha pensato a lungo, deve aver fatto un calcolo razionale, per compensare il destino ha stretto appena. Due millimetri decisivi, forse un filo d’erba, la pallina per un soffio non è entrata e il pubblico di casa ha ricacciato l’urlo in gola. Niente play-off quest’anno a Brookline, d’altra parte la storia si ripete. Un secolo dopo Ouimet il giovane Matt Fitzpatrick aveva trionfato a Brookline. Mezzo secolo dopo Nicklaus, proprio come Ouimet, ha vinto lo US Open in aggiunta allo US Amateur. Un trionfo che resterà negli annali, ancora una volta sulla leggendaria diciotto del Country Club.

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