Imprevedibile e imperfetto: com'era bello il calcio senza Var

Claudio Cerasa

Lode alle decisioni dell’arbitro. Lo sport assomiglia così tanto alla nostra vita: togliergli incertezze, errori e sbavature, e perché no, anche qualche ingiustizia, dà solo l’illusione di uno spettacolo più vero e genuino

Sono un tifoso interista e confesso di non essermi disperato mercoledì scorso quando a Roma, allo Stadio Olimpico, alla finale di Coppa Italia, l’Inter di Simone Inzaghi è riuscita ad acciuffare la Juventus con due splendidi rigori conquistati a cavallo tra la fine del secondo tempo e la fine del primo tempo supplementare. Gambe che si incrociano, ginocchia che si sfiorano, piedi che inciampano, contatti birichini e oplà: mani dell’arbitro che disegnano in aria lo schermetto del Var e poi braccio destro teso, con indice disteso a indicare il dischetto del rigore. Due rigori e via: partita ribaltata e molti “spiaze”, come si dice, indirizzati alla Juventus.

 

E però poi, ogni volta che succede, smaltita la sbornia, recuperata la voce, riacquistata un po’ di lucidità la domanda resta sempre quella ed è la domanda che tutti i tifosi non del tutto dissennati si pongono ogni volta che una partita viene interrotta per un check al Var.  E la domanda è questa: un calcio ostaggio della nuova pericolosa dittatura della perfezione è un calcio più bello, più spettacolare, più appassionante e soprattutto più vero?

 

Jürgen Klopp, formidabile allenatore del Liverpool, nel dicembre del 2021 è stato il primo grande allenatore a rompere un piccolo muro di omertà, se così possiamo dire, ed è sbottato. “Ero una delle persone che diceva che il Var è una buona idea, oggi non ne sono più tanto sicuro. Ormai è qui, ma il calcio perfetto è un’illusione che non va alimentata”. E’ così per una ragione romantica, se ci pensate, perché il calcio senza imperfezioni, senza sorprese, senza ingiustizie, senza sbavature offre solo l’illusione di uno spettacolo più vero, più genuino, più realistico, e apre le porte a uno spettacolo diverso, dove la promessa di perfezione toglie ossigeno all’imprevedibilità, alla sorpresa, alla non giustizia, persino al furto, e dove l’eugenetica sportiva consegna al pubblico uno spettacolo diverso, fatto di falli certi, rigori indiscutibili, gol inoppugnabili, polemiche archiviate, con la conseguenza non irrilevante che la promessa di avere uno spettacolo migliore si traduce invece in uno spettacolo più prevedibile e dunque meno spettacolare. Se si va a osservare la classifica della serie A per rigori assegnati da quando c’è il Var, per esempio, si scoprirà che, tranne in rarissime occasioni, le squadre che ottengono più rigori con il Var, e che dunque vengono favorite, non sono quelle più deboli ma sono quelle più forti. Ad aver ottenuto il maggior numero di rigori in tempo di Var, fino a oggi, è stata la Lazio (54 rigori), seguita da Milan (47), Inter (47), Juventus (46 rigori). “La discrezione arbitrale – dice lo scrittore Giancristiano Desiderio, che tempo fa ha dedicato al mondo del pallone il saggio “Football. Trattato sulla libertà del calcio” – non è un elemento estraneo al calcio ma ne è parte attiva e integrante. E l’idea che l’arbitraggio possa essere diretto fino a far coincidere l’arbitro con un computer è la vittoria dell’anticalcio”. Il calcio, lo sappiamo, ci piace perché parla di noi stessi, delle nostre ambizioni, delle nostre passioni, dei nostri errori, delle nostre perversioni. Ci piace perché è vero, non perché è perfetto, perché è imprevedibile, perché tutto può succedere, perché non sempre vince il più forte, perché non sempre ha ragione chi fa la cosa giusta, perché non sempre chi gioca meglio vince.

 

Il Var, probabilmente, comporta una maggiore equità, ma anche una minore incertezza di esito. E togliere al calcio incertezza rende il calcio più prevedibile e dunque inevitabilmente meno spettacolare. “Io – ha detto Vladimir Dimitrijevic, in “La vita è un pallone rotondo” – sono per l’arbitro che decide, che impone, che non indice un referendum prima di stabilire se c’è o non c’è fuorigioco, se il gol è valido o no. Dicono che bisognerebbe piazzare telecamere ovunque, e sorveglianti dietro ciascun palo alle porte, perché allora non commissioni dell’Onu, gruppi di esperti, qualche avvocato newyorchese e i carri armati della comunità internazionale per correggere un errore volontario, involontario, umano, dell’arbitro. Accettare l’errore umano, ribellarsi con dignità alla giustizia spietata delle macchine o degli uomini macchina”. E allora, goduria a parte per i rigori assegnati alle nostre squadre, una domanda andrebbe posta su questo tema. Se il compito del Var era rendere il calcio più giusto, quel compito è stato ampiamente tradito. E la ricerca della perfezione, da ormai due anni a questa parte, oltre ad aver messo gli arbitri sotto schiaffo di uno strumento imposto dalla democrazia diretta del pubblico, ha tolto al calcio quel mix di imprevedibilità, equità e ingiustizia che un tempo riusciva maledettamente a far somigliare il calcio alle nostre vite.
 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.