Foto ASO/Aurelien Vialatte  

il foglio sportivo

La Liegi-Bastogne-Liegi è la fine della primavera

Giovanni Battistuzzi

A Liegi si saluta il ciclismo della birra e l’adolescenza ciclistica. Le due ruote salutano il Nord. È l’ultimo atto di una stagione che ci vorrà un anno a rivederla

Liegi è il luogo della melanconia. Liegi è uno stato alterato di coscienza, una dimensione interna affollata, nella quale convivono troppe sensazioni contrastanti. E a non starci attento si finisce per non capirci più niente, rimanere impalati in uno stato di confusione sospeso tra passato e futuro, tra rimpianto e illusione. Perché a Liegi finisce tutto, va sempre così, ma ogni volta è come fosse la prima, ci si abitua mai davvero. Almeno nel ciclismo. E per tutti, corridori e appassionati. È un destino comune Liegi. Ci si guarda indietro e si rivede quel che è successo, si pensa a quello che poteva essere e a quello che è stato e non è stato. E come al termine delle vacanze estive adolescenti ci si chiede se l’anno successivo sarà diverso, se quel che è stato, bello o brutto, tornerà. Alla Liegi-Bastogne-Liegi finisce la primavera. E poco conta che non coincida né con quella atmosferica né con quella astronomica. Altre stagioni segnano il ciclismo.

 

Con la primavera termina pure l’adolescenza a pedali, quella che ogni stagione si ripete, perché almeno in questo la bicicletta è imbattibile: si invecchia giorno dopo giorno, in una stagione, e poi si azzera tutto e si riparte da capo, nemmeno fosse un circolo temporale senza via d’uscita. Non è davvero così, tant’è, illudersi non serve, anche perché per un campione che saluta ne arriva un altro che ci sorprende e ci conquista.

 

A Liegi il ciclismo saluta il Nord, quello vero, quello fatto di muri, pavé e côtes, di corse che un giorno basta e avanza, perché non hanno bisogno di altro. La Liegi-Bastogne-Liegi è l’ultimo atto di quel circa mese e mezzo nel quale la terra di Fiandra e di Vallonia, o la campagna francese che si butta nella Manica, assume quel fascino irresistibile che nemmeno il mare e le isole in estate. È processo mentale strano il ciclismo. La bicicletta abbellisce ogni cosa, trasforma il Muro di Huy in un’isola del Dodecaneso, il Koppenberg in una spiaggia di Tahiti, il Carrefour de l’Arbre nel mare della Costa Smeralda. Lì e non altrove, lassù a quelle latitudini e  longitudini, è il posto nel mondo nel quale si vorrebbe stare, il qui e ora. Ci si può fare niente.

 

Foto ASO/Aurelien Vialatte
   

Poi arriva Liegi. E si capisce che tutto sta per concludersi. Il ciclismo della birra verrà accantonato e sostituito da quello del vino, dalle settimane intere dedicate alle corse e alle rincorse di corridori che non inseguono più il giorno, ma un maglia, rosa o gialla non conta. Altra cosa. Nè migliore né peggiore, diversa. 

 

Quel che è certo è che qualcosa finisce lì a Liegi. E qualcos’altro inizia, ma quel che finisce ci vorranno quasi undici mesi per rivederlo. E così assieme alla volontà irrefrenabile di scoprire cosa accadrà, in quel amoreggiamento lungo tre settimane che è il Giro d’Italia, si affollano immagini di scatti e polvere e cadute e fango tra pietre e collinette di asfalto scritto e colorato di nomi che suonano crudi e spigolosi alle nostre orecchie.

 

La Liegi-Bastogne-Liegi è l’ultimo baluardo del Nord, l’ultimo atto di una stagione che si conclude. E quando i corridori raggiungeranno la cima della Roche aux Faucons, ultima côte della Doyenne (la decana, la Classica monumento più antica che ci sia), ultima occasione per staccare i rivali in salita, lasceranno un fischiettare che suona al ritmo dei Righeira “la Liegi sta finendo e un anno se ne va / Sto diventando grande lo sai che non mi va”.

 

Il Nord è il luogo giusto per l’adolescenza ciclistica: fa pensare che tutto sia fattibile, che ogni cima possa essere superata. Prolungano il sogno che tutto sia davvero raggiungibile, a portata di ruota. La Redoute e la Roche aux Faucons sono ripide e cattive, ma scollinano a trecentododici e duecentosettanta metri sul livello del mare. Non hanno la maestosità e la quasi irraggiungibile bellezza dello Stelvio o del Galibier, sembrano prossimi, accessibili, superabili: attraggono la ricerca di un nuovo orizzonte, uno un pelo più lontano.

 

Da lunedì l’estate inizierà. Poco male, sarà bellissimo comunque.

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